Regia di Andrzej Wajda vedi scheda film
Katyn è una testimonianza asciutta e obbiettiva vuoi di una rassegnata disperazione, vuoi di una tenace ostinazione, vuoi ancora della composta sofferenza di alcune famiglie polacche non così distanti tra di loro come invece la loro genealogia potrebbe farci credere: le accomuna, infatti, non solo la nazionalità, ma anche una tragedia collettiva particolarmente oltraggiosa della loro come della dignità dell’umanità intera: non tanto (o non solo) per il fatto in sé della tragedia in questione (un massacro di migliaia di militari inermi, tra l’altro superbamente descritto nelle scene finali, struggentemente drammatiche) ma soprattutto per ciò che ne è seguito. Non una mera indifferenza, né una tacita, complice condiscendenza. Piuttosto, il silenzio assordante di chi sapeva, eppur tuttavia ha taciuto; ha nascosto. Di ciò mai un escavatore potrà illudersi di nasconderne le tracce.
Non si cada, dunque, nell’errore di scorgere in Katyn un atto d’accusa verso una precisa parte politica, nonché verso la sua ideologia di riferimento. E’ dal silenzio che il regista vuole metterci in guardia. Di quello siamo tutti, quotidianamente, un po’ responsabili.
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