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Mister Lonely

Regia di Harmony Korine vedi scheda film

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La recensione su Mister Lonely

di alan smithee
8 stelle

"Noi non siamo altro che umili sosia,
gente normale come voi,
e senza di voi non saremmo niente.
Il nostro scopo, come sempre nello spettacolo, è tentare di divertirvi e cercare la bellezza della vita, lo splendore e la poesia di tutto questo.... .
Grazie dunque a tutti voi e ricordate:
NON C'E' ANIMA PIU' AUTENTICA DI QUELL'ANIMA CHE INTERPRETA UN RUOLO,
perché noi viviamo attraverso gli altri per mantenere vivo lo spirito della meraviglia".

Sono parole della regina Elisabetta, anzi più propriamente della sua sosia, espresse e confessate talvolta con lo sguardo puntato sulla macchina da presa poco prima che il tanto premeditato e atteso show delle copie dei personaggi più noti di fine secolo scorso andrà a rivelarsi un sonoro fiasco. Un discorso meraviglioso che sunteggia in modo magistrale e poetico ciò che il film vuole (senza riuscire in pieno) comunicare e manifestare. 
A Parigi un ragazzo che di mestiere si esibisce come sosia di Michael Jackson incontra casualmente una copia vivente di Marilyn Monroe e tra i due nasce subito un’intesa, quasi un innamoramento platonico che sfocia in un invito da parte della donna ad andare a trovarla nella sua grande villa immersa nella campagna scozzese ove vive col marito Charlot (un Denis Lavant funambolico più che mai e con al seguito la sua consueta metà artistica di Leox Carax, a tutti gli effetti ormai coppia artistica di fatto) e la figlioletta Shirley Temple. Passa poco tempo che il ragazzo mantiene la promessa e va a trovarla, condividendo con lei e gli altri commensali, tutti più o meno copie di personaggi fondamentali della seconda metà del ‘900 o del nuovo secolo, gioie (poche) e dolori o tristezze di una vita vissuta sempre di luce riflessa e dipendente da altri, quelli che sono realmente riusciti a sfondare e che tuttavia non sempre si sono rivelati così felici o in grado di gestire il loro successo con sobrietà e sensatezza.
A queste vicende si interseca la storia di un prete (il gran regista tedesco Werner Herzog) che nel sorvolare con tre suore i territori vergini abitati da popolazioni indigenti, si trova ad assistere al miracolo di una monaca rimasta illesa dopo essere caduta dall’aereo mentre era intenta a scaricare derrate alimentari, indenne invocando la salvezza direttamente da Dio. Per ironia della sorte o beffa del destino proprio dopo che il miracolo sarà riconosciuto ufficialmente anche dalla diffidente chiesa romana, un incidente aereo porrà fine alla vita del prete e delle suore che si apprestavano a ripetere l’impresa miracolosa.
L’essere umano soffre di solitudine: l’uomo tende a sentirsi isolato e a non saper gestire la responsabilità di una vita che gli pesa addosso come un macigno. E anche assimilarsi a vite di personaggi famosi risulta un escamotage di breve durata, difficile da gestire: ne sa qualcosa la dolente Marilyn di Samantha Morton (grande attrice!), che intravede nel personaggio “interpretato” dal marito più che il comico Charlie Chaplin, realisticamente l’effigie autoritaria e mefistofelica di Hitler.
Il nostro protagonista Michael Jackson (ottima prova di Diego Luna, viso bambino e perfetta controfigura del celebre rocker mai cresciuto, ma anche dolcezza e tenerezza di modi ed atteggiamenti) alla fine se ne va e rinuncia al ruolo; ma d’altronde la vita, quella vera, ci ha insegnato poco tempo dopo l'epoca della pellicola (il film è del 2007) che anche per il celebre cantante, come per la famosa attrice, il futuro era solo un'ipotesi; che entrambi probabilmente si sono accorti di non essere particolarmente predisposti a vivere questa vita terrena, rea di aver scaricato su di loro responsabilità troppo grandi e sovraccaricato le rispettive intimità di una solitudine di fondo insopportabile, che la fama mondiale non è riuscita per nulla a colmare.
Bizzarro ma profondo, poco omogeneo nelle sue storie assemblate qua e là come capita, ma pregno di contenuti e considerazioni, il film di Korine può diventare un manifesto simbolo delle inquietudini e delle insicurezze della vita moderna, della tendenza comoda e rassicurante di noi poveracci a rifugiarci dietro un proprio idolo o un proprio Dio per aiutarci a superare le asperità della nostra esistenza incerta e piena di ostacoli; quando là fuori, nel cortile del mondo, basta un sospetto di malattia per “giustificare” lo sterminio di un gregge di montoni (piuttosto che di un’intera razza di esseri umani) che non possono che rappresentare, senza troppi sforzi di immaginazione, la massa informe che vive sotto la luce riflessa dei pochi che invece ce l’hanno fatta...seppur a caro prezzo, a passare alla storia.
 

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