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The Reader. A voce alta

Regia di Stephen Daldry vedi scheda film

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cantautoredelnulla

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Reader. A voce alta

di cantautoredelnulla
6 stelle

Il film più controverso che ho visto fino a oggi e che mi ha portato a costruire più e più volte quest'opinione prima che sentissi di avere trovato le parole giuste per esprimere ciò che ho provato nei giorni successivi alla visione.
Amo Anna perché la vedo indifesa. Nel suo analfabetismo lei è sola. Non ha nessuno accanto e chi l'ha amata l'ha abbandonata.
Odio Anna perché non ha fatto niente per salvare i deportati durante la traduzione. Perché quello che è il gesto della speranza, la scelta, non c'è stato.
Ma cos'è che condiziona le scelte di Anna? Nella sua logica, nella sua condizione di inferiorità evidentemente molto sentita, lei sa che deve obbedire. Questa è la legge che deve rispettare. Il suo senso del dovere è così esasperato da non portarla a chiedersi se quello che fa è giusto, se non sarebbe meglio fare una scelta diversa. Dal suo punto di vista lei obbedisce agli ordini diligentemente.
Il punto è che quegli ordini sono dettati da una ferocia metodica e iterata, così esplicitamente citata nel film con tutte quelle scarpe ai lati del corridoio nel campo di concentramento, sono un omicidio di massa tanto folle quanto premeditato, organizzato e perpetrato nel nome dell'obbedienza e della sottomissione al messaggio di una classe dirigente sadica e perversa. Quegli ordini mi sembrano così irrazionali, così inaccettabili da avere più la sembianza di un giudizio universale della Natura che non dell'azione di un uomo che non si pone problemi di coscienza.
Quello che mi dà fastidio e non perdono al film è il fatto di esporre i fatti in maniera tale da giustificare la mancanza di una scelta con un morboso rispetto degli ordini ricevuti. Lo so, non ci sono altre ragioni. Perché un militare se gli si ordina di sparare deve sparare? E perché le sorveglianti non salvano i detenuti? Qual è la ragione? La codardia? L'ignoranza? La banale legge dell'obbedienza e della sottomissione? Tutti questi fattori messi insieme, probabilmente.
Sta di fatto che il film mette in evidenza che una persona come Anna non possa avere deciso, ma si è limitata a obbedire nel rispetto della propria estrema umiltà. Tutto questo mi fa rabbia. E mi fa rabbia il giochino "voi cos'avreste fatto al mio posto". L'identificazione è troppo facile, al suo posto mi sarei fatto ammazzare o avrei agito con la stessa paura? Al suo posto, ma soprattutto calato nella cultura della violenza che era la cultura di quell'epoca, avrei avuto le stesse idee di oggi? Avrei avuto il coraggio di sacrificarmi, mi sarei suicidato per lo schifo che non potevo impedire, o avrei sposato quella che appare come la più grande follia della Massa Popolare? E che cosa mi avrebbe portato a decidere? La nausea, il senso critico verso me stesso? Non solo non trovo una risposta valida, ma non trovo nemmeno un barlume di risposta a queste domande. Perché il punto è che lo spettatore di oggi, nel 2010, vede le cose con la cultura del 2010. Ma io sono cresciuto confrontandomi coi miei genitori, i quali sono cresciuti in famiglie dove non si parlava e si dava del lei ai genitori. E ancor peggio i miei nonni sono cresciuti in quella società italiana in cui la violenza era tra le mura domestiche e per strada, la violenza la si viveva come regola di vita in ogni momento.
Quindi tutto lo schifo che oggi provo, forse nel 1943 non l'avrei provato.
Oggi, penso, nel mio piccolo mi sono trovato a fare delle scelte. Scelte di poco valore, s'intende. Ho voluto scegliere se continuare a lavorare per chi secondo me prendeva in giro i clienti o li fregava, oppure andarmene, cambiare mestiere e cercare un lavoro che non pretendesse di fare del bene al prossimo fregandolo e non fregasse nessuno. E ho seguito questa seconda strada e sono tuttora convinto di avere fatto la scelta giusta.
Prima di lavorare dovevo scegliere se fare il militare o l'obiettore. Per comodità ho fatto il militare e quando ho imbracciato un fucile avrei voluto morire piuttosto che sparare a una sagoma. Solo allora, in quel momento ho compreso cosa significasse la mia scelta sbagliata.
Ho acquisito una coscienza in più su ciò che sono, ho compreso quanto la voglia di pace sia radicata in me. Il rispetto per la vita, per l'uomo-sagoma. Ma ho dovuto sbagliare per comprenderlo.
Anna, nel film, non è che non capisca quale orrore ha vissuto e ha contribuito a perpetrare e nemmeno l'ha superato. Ha un trauma e un segno dentro di sé che la porta lentamente all'autodistruzione.
Però la giustizia, che dovrebbe cercare la verità, si accontenta di trarre conclusioni senza indagare. Condanna una donna su sei: condanna un capro espiatorio che disgraziatamente rappresenta un simbolo. Quando viene chiesto alla donna di scrivere e lei non scrive, ma si autocondanna, i giudici hanno sentito quello che si volevano sentir dire. Il giudizio c'era già prima della sua ammissione di colpevolezza e nessuno ha insistito perché lei scrivesse. Nessuno si interessa di conoscere davvero la verità.
Alla fine del film viene detto che sapere la verità o no, nel processo, non avrebbe cambiato l'esito di ciò che avvenne allora. Con la differenza - a mio avviso - che così una condanna è stata sommaria esattamente come la giustizia dei campi di concentramento che gli stessi giudici, le stesse persone che partecipavano al processo avevano tacitamente permesso all'epoca dei fatti.
Sono d'accordo con l'universitario che dice che tutti sapevano e nessuno ha fatto niente allora. Tutti sapevano e accettavano i campi e quando tutto è diventato pubblico la Massa non si è nemmeno vergognata. Il senso di autodistruzione di Anna, in confronto, le fa addirittura onore.
Non so sbrogliare la matassa e nemmeno tirare le fila di questo discorso per sentenziare una conclusione, perché qualunque conclusione sarebbe sbagliata. E' la vita, la morte, le mille sfaccettature di ogni individuo.
Dal punto di vista cinematografico, al di là della storia su cui mi sono fermato a riflettere, ho trovato che il trucco fosse pessimo: la Winslet e Fiennes a 30 anni e a 60 sono sempre uguali, solo che hanno i capelli bianchi. Pessimo.
La sceneggiatura a tratti è imbarazzante. Ricordo l'inespressiva faccia di Fiennes che guarda la figlia durante una cena e lei gli ha appena detto che si riteneva responsabile dell'assenza nella propria vita del padre e lui risponde con "Julia non sai quanto ti sbagli". Ora, su questa battuta ho dovuto trattenere le risate perché non solo l'espressione di Fiennes non era credibile, ma pure il doppiatore ha dato un tono melodrammatico risultando in realtà alquanto imbarazzante per la scarsa credibilità e la vacuità della risposta.
Infine nemmeno la Winslet ha dato un grande contributo in questo film.
Non posso dare un insufficiente, perché la trama è ricca di argomenti interessanti e il film vale la pena vederlo, ma non riesco a dargli più di un sufficiente.

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