Regia di Glenn Ficarra, John Requa vedi scheda film
Chi è Steven Russell? Questa è la domanda chiave che sintetizza il senso di questo curioso film, talmente vario per stile e contenuti da renderne impossibile una classificazione in un preciso genere. La risposta: Russell è un cittadino americano che ha speso gran parte della sua vita a truffare il prossimo: per lui era quasi una necessità, una sorta di vocazione. E gli riuscì benissimo, almeno fino ad un certo punto. Sì, perchè Russell, a partire da un certo momento, divenne da truffatore a tempo pieno a truffatore part-time, nel senso che cominciò ad entrare in carcere e dopo un pò ad uscirne (sempre ricorrendo a trucchi assortiti). E appena oltrepassato il cancello del luogo di pena ricominciava subito a truffare, poi fatalmente veniva riacciuffato e poi usciva e riprendeva a truffare, e così via in un meccanismo che fu reiterato almeno fino al 1998, anno dal quale è rinchiuso in un penitenziario della Florida in cui dovrebbe scontare l'ergastolo che gli fu comminato dall'allora governatore del Texas George W. Bush. Spettacolare. Nessuna sceneggiatura avrebbe potuto scrivere meglio l'incredibile percorso umano di Russell, che per vent'anni riuscì a mettere a segno truffe ai danni di aziende e compagnie di assicurazione. Ma il quadro non è completo, perchè ad arricchire la "vivacità" della sua vita si aggiunsero un'altra manciata di dettagli che paiono fatti apposta per movimentare ulteriormente la sceneggiatura, già follemente spettacolare, di questo film. Immaginatevi, infatti, un poliziotto, padre e marito esemplare che, dentro di sè, cova per anni il sogno di un'altra vita e che, in seguito ad un incidente d'auto che lui interpreta come un segno del destino, pianta in asso la famiglia e la divisa, e si trasferisce in Florida a fare...indovinate cosa? A condurre una vita da gay godurioso, con tanto di compagno aitante al fianco e cagnolini al guinzaglio, spendendo i giorni tra club, locali, negozi di gioielli, aperitivi e tutto quanto fa mondanità e fancazzismo. Ma siccome i soldi non piovono dagli alberi, il nostro Steven deve pur fare qualche lavoretto. Ma pare proprio che non gli riesca di lavorare come farebbe qualsiasi cristiano. No. Per lui lavorare, sempre e in ogni caso, corrisponde a truffare. Non riesce a muovere un dito senza che questo implichi raccontare balle, simulare ciò che non è, fornire a chi non lo conosce un'immagine di sè rigorosamente fasulla. Solo che questo teatrino della bugìa non può reggere in eterno e Russell viene arrestato e sbattuto in carcere. E galeotto (in senso letterale) fu quel carcere. Nel senso che Steven incontra, in quel luogo di sofferenza, colui che diventerà l'uomo della sua vita, il romantico e timido Philip, un biondino con gli occhi azzurri, che apre una breccia in quel cuore così cinicamente furbo e astuto. E qui preferisco fermarmi, quando siamo appena ad 1/4 della vicenda, anche perchè gli eventi che si succedono sono talmente tanti da renderne difficoltosa una sintesi. Ah beh, sotto questo aspetto, diciamo pure che non si corre il rischio di annoiarsi. Non è uno di quei film che a tratti girano un pò a vuoto, qui è tutto un susseguirsi di fatti e novità che colorano e vivacizzano una storia già di per sè tuttaltro che banale. Davvero, la vita di Russell è stata talmente movimentata che per raggiungerne l'intensità non basterebbero le vite di 20 o 30 persone dall'esistenza normale, all'insegna di un clamoroso sorpasso della realtà sulla fantasìa. Ciò che forse più sorprende e spiazza il pubblico è il continuo variare dei registri utilizzati nel racconto: commedia, farsa, romanticismo e dramma, si alternano in continuazione destabilizzando lo spettatore ma arricchendo il film di un valore aggiunto d'interesse che lo allontana da qualunque sospetto di banalità e da ogni pericolo di prevedibilità. L'inizio fa pensare, con quei bambini distesi su di un prato a scrutare il cielo e con quel tenero outing della mamma, ad una commedia dai toni delicati, impressione che si rafforza poco dopo con le inquadrature che ci mostrano Steven nel suo habitat di famigliola perfettina con moglie cinguettante (e, diciamolo, anche un pò oca), ma un paio di sequenze dopo pensiamo di aver sbagliato film quando vediamo Steven semidistrutto da un tremendo incidente che grida agli infermieri dell'ambulanza: "finocchiooooo! io sono un grande finocchioooo!!". E lì, in sala le reazioni non sono univoche. C'è chi ride divertito (come il sottoscritto) ma c'è anche chi resta sconcertato da questa "virata" così radicale e sfrontata. Ebbene, lo spettatore che reagisce con sgomento, povereretto lui, perchè non sa cosa lo attende! Beh, se il cuore gli regge, pochi istanti dopo, avrà modo di vedere Steven sculettare per negozi alla moda con un paio di cagnolini (gay anche loro?) al guinzaglio. Ma questo è nulla a confronto con le esplosioni ormonali che gli verranno ispirate dal biondino conosciuto tra le mura del carcere. Vabbè, è una storia particolare, ma, dico io, possibile che ci sia ancora qualcuno che si scandalizza per così poco? Dopotutto è una vicenda accaduta veramente e soprattutto Russell non ha mai ammazzato nessuno. Era solo un pò matto, un pò fantasioso, mica era un assassino e poi non vorremmo mica giudicarlo per le sue inclinazioni sessuali eh? Per favore!! E allora godiamoci questa romanzesca vicenda senza reazioni indignate, che sarebbero preoccupante sintomo di oscurantismo. E' stimolante cercare di afferrare un film che ti sfugge continuamente al controllo....non fai in tempo ad inquadrarlo come un prison-movie che già è diventato una commedia gay, poi dopo pochi secondi ti pare il più classico dei film "di truffatori" (ricordate "Prova a prendermi" di Spielberg?), poi dopo ancora si trasforrma in un AIDS-movie (variante del filone cancer-movie)...Dunque Russell è attualmente detenuto in un carcere della Florida dove suppongo sia guardato a vista, dati i funambolici precedenti, e da dove non uscirà mai più, a meno di un atto di clemenza (che sarebbe anche condivisibile, dato che la pena comminata da quel povero idiota di Bush -144 anni!!!!- appare oggettivamente esagerata per un truffatore). Diversamente è andata per il suo ex amante, che è da anni un uomo libero, talmente libero che ha collaborato con gli autori in fase di sceneggiatura fornendo loro una importante consulenza. Questo andava detto anche a garanzia che ciò che vediamo sullo schermo, per quanto bizzarro e a volte inverosimile, è frutto della memoria di un testimone. Eppure io continuo -divertito ma anche perplesso- a non capacitarmi di certi meccanismi mentali di Russell che ne guidarono le scelte. Per dire, lui era uno che pur di raggrannellare qualche soldo dalle compagnie di assicurazione faceva cose pazzesche, tipo buttarsi dalle scale oppure procurarsi tremende cadute, insomma si faceva veramente del male....ma che fosse capace davvero di tutto lo percepiamo quando decide di fingere di essere malato terminale di aids, arrivando a praticare autentiche violenze sul proprio corpo... Forse avrete avuto notizia delle polemiche che hanno accompagnato l'uscita in Italia della pellicola. A parte l'incomprensibile scelta di stravolgerne completamente il titolo, le polemiche riguarderebbero un paio di scene audaci di sesso tra i due protagonisti eliminate nella versione italiana. Ma le voci in proposito sono controverse, c'è addirittura chi sostiene che le scene incriminate in realtà erano "scandalose" entro limiti tollerabili. A me questa "discussione" non fa affatto piacere, perchè getta sul film un'ombra di morbosità che delinea -nei confronti di chi non ha ancora visto il film- un prodotto che in realtà di morboso non ha ASSOLUTAMENTE NULLA. In fondo è solo la storia -disseminata di snodi curiosi e di episodi bizzarri- della vita speciale di un uomo speciale. Tutto qui. Grande merito della coppia di sceneggiatori (che peraltro del film sono anche registi) è quello di aver dato un contributo allo svecchiamento della ristagnante commedia americana moderna, un ambito in cui ormai imperano la convenzione e il conformismo più idioti, tristemente accompagnati ad una cronica crisi di idee degli sceneggiatori che conduce poi alla realizzazione di emerite stronzate tipo "L'isola delle coppie". C'è poi un aspetto curioso nel film, che, per quanto esso rimanga sullo sfondo, mi ha colpito e ritengo importante segnalarlo. Mi riferisco al modo in cui viene rappresentata, in un ambito di provincia americana magari non tanto evoluta culturalmente, una sorta di devozione radicata per la tradizione religiosa. Emblematica l'ossessione del suo rapporto con Gesù, che lei nomina spesso, da parte della moglie (un pò sempliciotta e naif) di Steven Russell. Poi c'è l'episodio di un curioso taxista che impone al proprio cliente (lo stesso Russell) per tutto il viaggio la citazione a memoria di interi brani delle Sacre Scritture. E veniamo all'ottimo cast, partendo dalla bravissima Leslie Mann che impersona la svampita moglie del protagonista. Ewan McGregor è, lo sappiamo bene, un attore coi fiocchi, eppure in questa interpretazione (pur validissima) non riesco a non cogliere un'ombra di disagio, come se l'attore faticasse un pochino a calarsi nei panni di un personaggio per lui decisamente inconsueto. Quanto a Jim Carrey, beh, non ci sono parole per questo autentico GIGANTE della recitazione. Io forse sarò di parte in quanto suo acceso fan da sempre, ma per me Jim è un monumento vivente al talento e all'istrionismo. Jim è molto più di un interprete: lui è un fantasista, un illusionista, un incantatore. Chi ha detto che si può parlare di un nuovo Jerry Lewis non ha affatto peccato di lesa maestà, anzi, è una tesi che io supporto con convinzione. Concludendo. Un film da vedere per almeno un paio di motivi: 1) è una commedia divertente che fa sorridere senza riciclare la solita pappa a base di coppie americane divorziate e/o in crisi d'identità 2) ogni film con Jim Carrey è da vedere...a prescindere.
Voto: 10
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