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J'ai toujours rêvé d'être un gangster

Regia di Samuel Benchetrit vedi scheda film

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La recensione su J'ai toujours rêvé d'être un gangster

di joseba
8 stelle

Quattro episodi più un epilogo orbitanti attorno ad una caffetteria sulla Nazionale 17. 1. "Drew Barrymore fait penser à un hamburger": uno sgangherato rapinatore (Baer) entra nella caffetteria con l'intenzione di rapinarla. Snobbato dalla barista (Mouglalis), ordina un caffè e consultando il menù disapprova la scelta di associare il nome di Kim Basinger a un cheeseburger: ci sono molte attrici decisamente più adatte a rappresentare quel piatto. La cameriera, concordando con lui, replica dicendogli che è stata assunta da due soli giorni e che non è stata lei a decidere l'abbinamento. 2. "Pourquoi tu veux mourir, petite?": due rapitori maldestri (Lanners e Larivière) si intrufolano nella camera della figlia adolescente con tendenze suicide (Mouissi) di un ricco imprenditore e la rapiscono. Telefonano al padre lasciandogli un messaggio nella segreteria telefonica: per riavere la figlia dovrà consegnare loro 500.000 euro al parcheggio della caffetteria alle 23. Dopo aver scongiurato un tentato suicidio della ragazzina, i due si recano all'appuntamento, ma non si presenta nessuno... 3. "Oh, Gaby!": nei bagni della caffetteria si incontrano, orinando, due vecchi cantanti (Arno e Bashung) ancora sulla cresta dell'onda. Bere qualcosa insieme è l'occasione per rinfacciarsi soavemente scorrettezze reciproche. 4. "C'est fou comme tout change!": quattro vecchi gangsters (Rochefort, Terzieff, Kalfon e Venantini) si recano in ospedale per prelevare il loro socio moribondo (Dumas) e farlo spegnere, secondo le indicazioni date loro quasi trent'anni prima, in un nascondiglio nella foresta. Ma il gangster malato si sveglia durante il tragitto sostenendo di non avere nulla di grave. Risollevati e riuniti dopo tanto tempo, i cinque decidono comunque di dirigersi al rifugio, solo che al suo posto sorge la caffetteria 17. Qui i vecchi truand concepiscono l'ultimo colpo: una rapina ad una banca già svaligiata tre volte. Epilogo. "On se connaît, non?": il rapinatore e la cameriera del primo episodio riprendono la conversazione interrotta e realizzano di essersi già incrociati qualche giorno prima: lui era in fuga dalla polizia e lei lavorava al casello dell'autostrada... Stralunata parodia dei gangster movie girata con deliberato pauperismo, "J'ai toujours rêvé d'être un gangster" è il secondo lungometraggio di Samuel Benchetrit, già autore della commedia stravagante "Janis et John" (2003). Il cineasta e romanziere francese (classe 1973) gioca con i cliché del noir con impagabile leggerezza, mettendo in scena quattro episodi di canagliesca ironia senza rinunciare a un retrogusto amaro e malinconico che trae partito da un argenteo bianco e nero e da un soundtrack di miracolosa eleganza composto da Dimitri Tikovoi. Se il titolo cita quasi alla lettera una frase pronunciata da Ray Liotta in "Quei bravi ragazzi" di Martin Scorsese, la comicità "deadpan" e il tono surreale dei racconti evocano atmosfere alla Jarmusch (da "Stranger Than Paradise" a "Coffee and Cigarettes") o situazioni assurde alla Kaurismäki (da "Leningrad Cowboys Go America" a "Juha"). Eppure, nonostante la sensazione di déjà-vu non sia del tutto assente, col passare dei minuti il film di Benchetrit si ritaglia uno spazio tutto suo: la cinepresa non è mai dove ti aspetti che sia (i punti macchina variano sistematicamente in controtempo emotivo), gli attori recitano con divertito distacco (anche il gigione Rochefort è tenuto provvidenzialmente a bada) e l'impaginazione narrativa pullula di invenzioni micidiali (intermezzi slapstick, minuscoli scatti di montaggio, improvvisi freeze frame glorificati dalla voce over). E, soprattutto, una sbalorditiva varietà di registri che non disdegna affondi sontuosamente malinconici: il finale del quarto episodio abbandona i toni della parodia e sposa con convinzione quelli della toccante elegia crepuscolare, magnificata da maestosi campi lunghi e squarci ambientali di austera melancolia. Un gioiello di giubilatoria raffinatezza laminato in un bianco e nero semplicemente sublime. Puro incanto cinéphile.

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