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Six-Pack

Regia di Alain Berbérian vedi scheda film

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La recensione su Six-Pack

di joseba
6 stelle

Nathan (Anconina), un detective di mezza età affiancato dal più giovane e tecnologico Saule (Diefenthal), indaga sugli omicidi di un serial killer che semina il terrore per le strade di Parigi. Arrivato a quota 5, l'assassino segue un modus operandi tanto macabro quanto invariabile: squarta le vittime con un pugnale, le sdenta e si masturba con la loro bocca. Nonostante le minuziose ricerche, i due poliziotti non fanno passi avanti, sicché Nathan chiede aiuto a Paul (Fresson), proprietario di una libreria specializzata in materia, che lo indirizza da un celebre detective di Chicago attualmente fuori servizio in seguito alla cattura di un pericoloso criminale chiamato "Daddy Harry". L'ex cop McPherson è certo: si tratta di "Six-Pack", un assassino che ha già colpito negli Stati Uniti e di cui si sono perse le tracce proprio da quando sono iniziati gli omicidi in Francia. Sollevato dall'incarico per manovre politiche, Nathan decide di andare avanti lo stesso, tendendo una trappola al serial killer: Marine (Mastroianni), una donna sola ma continuamente sorvegliata da lui e dal collega, dovrà attirare l'attenzione dell'assassino e farsi abbordare facilmente. Il polar flirta col thriller made in USA. "Six-Pack" non è un gran film ed è piuttosto maldestro nell'assimilazione degli stilemi del "crime movie" statunitense, ma è indubbiamente importante nella storia recente del genere francese, rappresentando, insieme a "Scènes de crimes" di Frédéric Schoendoerffer, il primo tentativo del polar francese di metabolizzare elementi e convenzioni narrative del thriller americano. Uscito nel 2000 a pochi giorni dal citato film di Schoendoerffer, "Six-Pack" è il terzo lungometraggio di Alain Berbérian (classe 1953), già autore di commedie quali "La Cité de la peur" (1994) e "Paparazzi" (1998). Tratto dall'omonimo romanzo di Jean-Hugues Oppel, il film di Berbérian tenta di innestare la tensione narrativa dei modelli statunitensi (De Palma, Friedkin, Demme, Mann) sulla sensibilità autoctona (fatta di atmosfere stagnanti e sfumature umane), giocando tutte le carte possibili: omicidi morbosi, indagini fuori ordinanza, pedinamenti asfissianti, inseguimenti a rotta di collo e persino una trasferta a Chicago con tanto di visita al serial killer incatenato in candida cella. Attenzione: non si tratta di banale scimmottatura, ma di trapianto (teorizzato ed enunciato nel film stesso dalla figura del proprietario della libreria noir) dei codici del thriller in territorio francese. Operazione simile a quella compiuta da Frédéric Schoendoerffer nel coevo "Scènes de crimes", ma con tratti sensibilmente diversi: se il polar di Schoendoerffer adottava il realismo procedurale dei polizieschi statunitensi raggiungendo momenti quasi documentaristici, Berbérian, senza dubbio molto meno dotato del suo più giovane collega, ne assume soltanto i parafernali, vale a dire gli elementi più vistosi ed esteriori, facendo del suo film una galleria di "cliché delocalizzati". Ecco allora Parigi svuotarsi all'improvviso e trasfigurare in teatro irreale dell'omicidio, ecco gli uffici di polizia tramutarsi in stanze asettiche dove i tecnici svolgono il loro lavoro davanti a infallibili computer ed ecco, infine, il lavoro sul campo essere trasformato in una corsa contro il tempo per evitare che l'assassino compia l'ennesimo delitto (non può non venire in mente il conto alla rovescia di "Manhunter"). Sedotta da troppi riferimenti, la messa in scena di Berbérian è per forza di cose derivativa e disomogenea, oscillando confusamente da un modello all'altro: se la coreografia degli omicidi è di chiara marca depalmiana (al pari dei barocchismi luministici e del soundtrack "à la" Bernard Herrmann), la rappresentazione della metropoli tradisce un'impronta inconfondibilmente friedkiniana ("Il braccio violento della legge", "Vivere e morire a Los Angeles"), mentre l'alternanza tra le azioni delittuose del serial killer e la caccia all'uomo dei poliziotti è puro calco demmiano ("Il silenzio degli innocenti", ovviamente). In definitiva, "Six-Pack" è un film che, se preso a sé stante, risulta piuttosto raccogliticcio e scomposto, ma se inserito nel contesto della trasfusione di elementi thriller nel corpo del polar, si ritaglia un ruolo di pionieristica importanza accanto al ben più controllato e incisivo "Scènes de crimes" di Frédéric Schoendoerffer. PS- Il significato del titolo, che richiama le confezioni da sei lattine di birra, è un'espressione proveniente dalle riprese di film porno e riguarda quelle ragazze che accettano due uomini alla volta. Espressione successivamente passata nello slang per designare le ragazze che si concedono con grande facilità.

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