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I Love You

Regia di Marco Ferreri vedi scheda film

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La recensione su I Love You

di ed wood
10 stelle

Film geniale, ricco di idee sul piano teorico e di invenzioni su quello espressivo; profondo, lucido e coerente nel suo discorso sui mutamenti che la "civiltà dell'immagine" ha generato su maschi e femmine a livello relazionale, sentimentale e sessuale. Anche questa volta, come in "Dillinger è morto" (auto-citato nel finale), protagoniste non sono le persone, ma le immagini: i programmi televisivi anzitutto, dominati dai corpi femminili; il ritratto gigante del volto di Michel sul muro del centro sociale; quadri, raffigurazioni, manichini, bambole, maschere, depliant turistici, tigri gonfiabili; e ovviamente il portachiavi-feticcio. L'immaginario ferreriano raggiunge, in "I Love You", il suo punto di massima reificazione: gli umani diventano oggetti, cose, inerti surrogati di se stessi. La sceneggiatura è generosa di spunti e riesce abilmente a sviluppare un pretesto narrativo di per sè molto esile in direzione di un compiuto apologo morale; i personaggi di contorno sono riusciti (l'amico sfigato, il cliente feticista dell'agenzia viaggi, tutte le donne-oggetto infatuate di Michel); la regia è semplicemente impeccabile nell'oscillare credibilmente fra realismo e metafora, perfezionando un'estetica surrealista che preme certamente sul pedale del grottesco, ma che non esclude tristezza, malinconia, disperazione, frustrazione (vedi la scena dei tappeti elastici, in cui Michel cerca invano di rimpiazzare il suo portachiavi con una donna "vera"). A livello tematico, non ci sono solo i consueti temi dell'impossibilità della coppia, del rifiuto della paternità, dell'infantilismo maschile, ma anche dell'impotenza (sessuale e professionale, simboleggiata dai due diversi handicap dell'impossibilità di fischiare per Michel e del dito rotto per il suo amico), della solidarietà maschile (anch'essa irrealizzabile), dello stravolgimento delle gerarchie (il disoccupato bianco deve l'affitto a una donna nera). Gli attori e il doppiaggio sono scadenti, ma anche in questo sono coerenti con la poetica della reificazione sostenuta dall'Autore. Dal punto di vista scenografico, Ferreri realizza un nuovo universo difficile da dimenticare, cogliendo in una degradata periferia francese l'archetipo della suburbia globalizzata, in cui convivono lavoro e disoccupazione, centri sociali e supermercati, bianchi, neri, asiatici, persone distinte e maniaci erotomani. Tra i tanti momenti memorabili, spicca la scena della masturbazione di Michel (con il portachiavi incollato su di uno schermo che riflette un mare in tempesta). A proposito di mare e di fughe verso paradisi fittizzi, sotto un tramonto virato in rosso, vale la pena di notare come il finale sia un caso più unico che raro in cui un'auto-citazione non si risolve in un egocentrico giochetto di auto-esaltazione, ma è invece estremamente funzionale alla comprensione dell'opera: il succo del discorso è che la nostra civiltà è morta, in quanto imprigionata nella sua stessa immagine e schiava delle sue illusioni. Un film profetico, in tutto e per tutto.

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