Regia di Gilles Bourdos vedi scheda film
Da un romanzo di Guillaume Musso, autore francese molto noto e dal grande seguito di lettori, nel 2008 il regista francese Gilles Bourdos traspone questo thrilleraccio laccato e manierato forte di una coproduzione franco-canadese che, almeno sulla carta, presenta un cast ed un budget di tutto rispetto e una trama piuttosto accattivante e almeno all’inizio piuttosto coinvolgente.
Le atmosfere sono quelle del mistery metafisico alla Shyamalan; il fulcro della vicenda e’ il confine tra la vita e la morte, la capacita’ di percepirne il passaggio grazie ad una misteriosa sensibilita’ - dote soprannaturale appartenente a pochi eletti -qui rappresentata come una candida immacolata percezione, un fluorescente biancore, dettaglio impalpabile ai piu’, che costituisce invece una elemento monitorabile per pochi spesso inconsapevoli eletti. Uno di questi (un sempre adeguatamente mefistofelico ed elegante John Malkovich), definitosi “il messaggero”, contatta un avvocato di grido (un efficace Romain Duris) che nasconde (bene) nella compostezza ed efficacia dei suoi comportamenti professionali, alcune profonde ferite familiari indelebili, per cercare di persuaderlo ad utilizzare la dote di cui e’ inconsapevolmente in possesso, in modo da poter garantire a chi e’ destinato a lasciare la vita terrena un trapasso consapevole e “organizzato”. Ovviamente l'avvocato non abbocca subito e il film ci fa seguire tutta l'opera di convincimento da parte di quello che su due piedi viene considerato come un pazzo iettatore, ma che poi riesce a dimostrare con una certa efficacia di possedere alcune doti non proprio comuni di preveggenza e percezione degli altrui decessi.
Il film si sviluppa con un sapiente accumulo di situazioni che dispongono lo spettatore in una posizione leggermente piu’ consapevole del sempre piu’ incredulo e problematico protagonista – gia’ minato come accennavamo da proprie disgrazie familiari difficili da superare - circa gli sviluppi incredibili che ne seguiranno.
Ma l’atmosfera ovattata, che sa di chiuso e di isolamento ermetico, accompagnata da un regia troppo distratta da particolari ed inquadrature sghembe superflue, quasi a voler dimostrare quanto si e’ bravi a dare un taglio registico di classe all’opera (pareti di grattacieli, incroci stradali, giungle di cemento alternate a nature incontaminate che risultano piu’ stucchevoli che altro) o impegnata a ricreare situazioni idilliache con boschetti paradisiaci infestati di polline coreografico e ridondante (non sara’ morto di quello, per allergia, il bimbo neonato della coppia protagonista? viene da chiedersi con un po’ di sano realismo invece di volare cosi’ in alto in spiegazioni astruse e ultraterrene….) rendono il film solo un’occasione sprecata in grado di allontanare (magari a torto, chi lo sa?) i pochi che (come me) non hanno ancora affrontato sin d’ora nemmeno un’opera letteraria (ma mi sa anche tanto commerciale) di Musso.
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