Regia di Gilles Bourdos vedi scheda film
Nathan, avvocato assicurativo newyorchese, - brillante quanto basta per incupire le sorti di malcapitati clienti che esigono la liquidazione per un incidente nel quale sono morte quindici persone, - è afflitto, grazie ad una benevola nemesi da contrappasso, per la separazione dalla consorte Claire, ma soprattutto lo addolora la distanza dalla piccola Tracey, figlia diletta cui cerca di sopperire con continue quanto funeree telefonate. Il matrimonio è andato male perché Nathan ha trascurato la famiglia, dando tutto se stesso all’attività lavorativa. Uomo perennemente accigliato, l’avvocato ha fin nei peli curatissimi della barba qualcosa di inquietante, lo direste un addetto ai contratti per la cremazione, non fosse che a questa ambisce indirizzarlo un individuo di nome Kay, Philip Kay, sedicente medico e taumaturgo, nonché carontesco traghettatore di anime defedate all’ultima dimora.
Kay ha anche lo straordinario potere di divinare, con una sola occhiata distratta ma precocemente letale, i candidati prossimi ad abbandonare questo mondo, e non esita a dar prova all’intontito Nathan di iatture prossime a venire ai malcapitati.
Che cosa di preciso Kay voglia da Nathan, non è concesso di sapere, ma perché l’avvocato si fidi della chiaroveggenza definitiva del medico, occorre una prova ‘sul campo’, anzi nei pressi di una rotaia della metropolitana:
– Vede quel tipo, quel ragazzino con la giacca arancione? Lo vede?
– Sì, lo vedo. E allora?
– Si chiama Dennis. Dieci anni fa, oggi, suo padre morì proprio qui. Aspettava il suo treno, aveva un buon lavoro, una famiglia felice. E una sera, ne ha avuto abbastanza. E quando è arrivato l’espresso, è saltato.
– Era un suo amico?
– E questi ultimi giorni, Dennis è venuto qui tutte le sere. Ogni sera. Lo guardi.
– Perché dovrei farlo?
– Lo guardi. Perché fra due minuti Dennis morirà.
– Ma che caz... Lei è pazzo. Completamente pazzo.
Pazzo o sano di mente, Kay ha ‘visto’ qualcosa in Nathan, e non per caso, quando è andato a trovarlo, dal modo in cui lo ha scrutato, gli ha fornito un check up completo, con un solo sguardo indagatore, - risonanza magnetica, carico glicemico, ecc. e ha aggiunto:
– Non dovrebbe prendere l'ipoglicemia così alla leggera. In realtà, non dovrebbe prendere alcun sintomo alla leggera... mai. Non può immaginare quante cellule lei bruci ogni giorno.
Occhio clinico sì, ma questo Kay insiste:
– I neuroni non possono essere rimpiazzati. Alcuni muoiono ogni giorno. Ogni giorno di più. Tutto quel glucosio che ingerisce, è solo energia povera. Dannosa per lei, dannosa per i neuroni.
Nathan ha le prove che Kay non mente, e se non mente, è chiaro che deve avere annusato aria di dipartita, e il brutto è che il morituro è proprio lui, Nathan, che per valutare empiricamente il proprio stato di salute, si sottopone a tutte le analisi possibili, senza dire che mentre è nel budello della T.A.C. sente di essere in una sorta di prova di imminente catafalco.
Ormai certo di morire, Nathan visita la clinica del dottor Kay, il quale, da onesto vespillone, gli presenta una buona scelta di anime da preparare alla morte, commentando argutamente un trattatello sul trapassare:
– Ciascuno di noi, qui uscirà nella sacca per defunti. Deve sapere, Nathan, che i moribondi mi hanno insegnato una cosa. Che puoi guardare in faccia la morte e continuare a vivere. Il nostro compito è far loro compagnia. Far compagnia a quelli che stanno per morire affinché possano andarsene in pace.
Kay non è un ciarlatano, Kay (lo rivela solo a metà del secondo tempo) è un “Messaggero”.
Ma se il “Messaggero” non ha detto la verità? Se i segni della morte sono impressi, invece, sulla figura di Claire, come può Nathan salvare la donna amata?
Sicuramente c’è un trucco sotto, – ma non ve lo rivelo.
Dico soltanto che il regista Gilles Bourdos allestisce un film di rara imperizia tecnica a fronte di uno script di Michel Spinosa (dal romanzo Et Apres di Guillaume Musso) ‘mortalmente’ interessante.
Ignorando come riempire il vuoto di regia, Bourdos si distrae per tutta la durata del film, soprattutto nelle scene in interni, riprendendo edifici, strade trafficate, viali alberati, cimiteri (naturalmente!), lasciando svolazzare i dialoghi en plein air con il rischio che le voci fuori campo arrivino ovattate all’udito dello spettatore che timidamente tocca ferro.
Infine, non resta che apprezzare la (solita) performance luciferina di John Malcovich e il coraggio di Romain Duris nell’affrontare una parte forte comme la mort.
Musique d'ameublement funébre di Alexandre Desplat, ispirata al pianismo di Ravel-Bartok- Satie: adagio-andante-quasi senza moto.
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