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Dream

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Dream

di pazuzu
4 stelle

Tra i sogni di Jin e i gesti di Ran c'è una chiara quanto incomprensibile connessione: se ne accorge lui quando, dopo aver sognato di causare un incidente stradale, recandosi sul posto scopre che è avvenuto davvero e che la responsabile è la ragazza, che però non ricorda nulla.
Dream è l'ultima fatica di Kim Ki-duk, e vorrebbe avere la stessa consistenza dei sogni. L'idea di partenza è intrigante e perfettamente nelle corde del regista, che ama tenere i suoi personaggi in bilico in storie dal simbolismo anche marcato ma quasi mai fine a sé stesso. Ma stavolta, purtroppo, il gioco non gli riesce: c'è troppo poco nerbo in questo film che dice quasi tutto nei primi minuti per poi procedere per inerzia in maniera piuttosto blanda e ripetitiva, fino ad un interessante finale, metaforico onirico ed affascinante, che però giunge francamente troppo tardi per salvare il salvabile. Lo sguardo sottile e la mano leggera cui il regista ci ha abituati sono qui appesantiti da un massiccio e per lui inconsueto (ab)uso dei dialoghi (talvolta banali o poco credibili) e al contempo svuotati da una sceneggiatura esile e se si vuole anche prevedibile che fatica a coinvolgere e in qualche caso sfiora il comico involontario. Il rischio di scadere nel didascalismo è dietro l'angolo, così come quello di tirare troppo la corda dell'inverosimile, mentre i personaggi restano bidimensionali e il loro rapporto anonimo, senza che gli attori, specie l'imbalsamato Jô Odagiri, facciano granché per migliorare la situazione. Di fatto ci si trova già dopo un quarto d'ora ad aspettare che succeda qualcosa, magari "quel" qualcosa che dia un senso al tutto, ma che, francamente, giunge fuori tempo massimo, dopo un'ora buona in cui a mancare sono non tanto gli avvenimenti quanto piuttosto il mistero il coinvolgimento emotivo e l'atmosfera sospesa che ne dovrebbero accompagnare l'attesa e che il regista altrove ha dimostrato di saper dispensare a piene mani.
Kim Ki-duk, dunque, gira bene (come sempre) ma a vuoto, fallisce nell'arte di cui è indiscutibile maestro, quella di riempire con la poesia delle immagini soggetti (solo apparentemente) poveri di sostanza. Il problema principale del film non è quindi l'interpretazione da dare al suo criptico finale, ma il lungo nulla che lo precede, l'assoluta mancanza di evoluzione nella trama e la scarsezza di eventi se non fondamentali almeno utili a creare aspettative. Non ci sono rimandi o suggestioni, non si suggeriscono riflessioni, tutto è piatto velleitario ed involuto, quasi che al regista interessi solo temporeggiare per poi arrivare al Messaggio. Il grande regista coreano, per una volta, si mantiene in superficie e sfocia nella maniera, senza riuscire a scavare dentro l'anima dei suoi personaggi né a creare empatia. Giunto al suo quindicesimo film, prende la prima sonora stecca: capita anche ai migliori.

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