Regia di Arthur Hiller vedi scheda film
Un film fatto di ingredienti semplicissimi: una storia d’amore (come recita appunto il titolo archetipico) complicata dalle differenze sociali, una morte in giovane età. Inutile fare gli snob: gli ingredienti sono tutti al loro posto e svolgono onestamente la loro funzione. Si ripete spesso, attribuendola a Umberto Eco, la battuta “bisogna avere un cuore di pietra per non ridere davanti a questo film”, ma in realtà l’inizio de Il superuomo di massa la cita solo per confutarla: “La battuta, come tutti i paradossi di tono wildiano, è superba. Purtroppo non rispecchia la verità. Infatti, qualunque sia la disposizione critica con cui si va a vedere Love story bisognerebbe avere un cuore di pietra per non commuoversi e piangere. E anche avendo un cuore di pietra non ci si sottrarrebbe probabilmente al tributo emotivo che il film richiede. E questo per una ragione semplicissima: che i film di questo genere sono concepiti per fare piangere. E quindi fanno piangere. Non si può mangiare un confetto pretendendo di sentire - solo perché si ha una vasta cultura e un forte controllo delle proprie sensazioni - sapore di sale”. Se poi vogliamo parlare anche di cinema, diciamo che circola una bella atmosfera anni ’70 a cui si guarda con nostalgia, che il padre di lei è un personaggio interessante e che siamo a un livello superiore rispetto alle insulse ruffianerie di Lelouch.
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