Regia di Daniele Costantini vedi scheda film
Richiamandolo fin dal titolo, il film di Costantini cerca di evocare il mondo di Fabrizio De André, traendo il soggetto dal romanzo del grande cantautore, Un destino ridicolo. Per la verità, furono diversi coloro che rimasero delusi leggendo il libro di De André, non riconoscendo nello scrittore (in realtà il romanzo fu scritto a quattro mani con Alessandro Gennari) la stessa grandezza del cantautore. Fabrizio De André ha raccontato il proprio mondo, la Genova delle prostitute e dei papponi, dei gangster marsigliesi e dei piccoli imbroglioni, nelle proprie canzoni. Del resto, tanti anni fa Pino Daniele, scocciato di un'intervista prima di un concerto, apostrofò il giornalista dicendogli «fatece sunà». Tuttavia, anche ammettendo che il romanzo di De André (che non ho mai letto) non sia riuscito, è sempre possibile che da un brutto libro venga tratto un bel film. Non è questo il caso di Amore che vieni, amore che vai. Anche a voler tacere della credibilità del soggetto (ammesso e non concesso che esso sia fedele allo spirito deandreiano), bisogna ammettere che, quanto meno, è stato sbagliato il cast. Quale mai disgraziata prostituta si affiderebbe alla protezione di un pappone come Fausto Paravidino? Non so come sia descritta nel romanzo la figura del protagonista, ma l'impressione è che uno come Paravidino (una specie di Renato Rascel giovane, forse più carino ma certamente meno bravo) sarebbe sopravvissuto tra i vicoli della Genova del 1963 - descritti peraltro in maniera molto edulcorata), come dicono a Livorno «quanto un gatto sull'Aurelia». Discutibile mi sembra anche la scelta di Popolizio per il personaggio del malavitoso Bernard: o è un marsigliese e allora non c'entra niente l'accento romano dell'attore, oppure magari va bene tutto, ma ad un attore bravo non si può affidare un personaggio tanto scolorito e incoerente (la scelta dei complici per la rapina è sconcertante).
Insomma il film non funziona, è deludente dall'inizio alla fine e, per dirla tutta, rende un pessimo servizio a Fabrizio De André, al mondo che emerge dalle sue canzoni - quello dove anche «dal letame nascono i fior» -, ma anche ai cantautori in generale, alla musica e al cinema stesso. Personalmente, salverei soltanto la presenza di Tosca D'Aquino, che in una scena si mostra fugacemente nuda.
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