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Louise Michel

Regia di Benoît Délepine, Gustave Kervern vedi scheda film

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La recensione su Louise Michel

di FilmTv Rivista
8 stelle

Ecco un’opera che fa sembrare le parole necessarie a raccontarla meno adatte del solito, un regalo in un mondo in cui i critici devono spesso catalogare copie mediocri di qualcos’altro. Diventato un caso in Europa, acquistato dalla Fandango dopo alcune irripetibili proiezioni al Festival di Roma nella sezione Extra (la gente si rotolava a terra dalle risate), sembra un film dei fratelli Coen girato da Aki Kaurismäki: il pianeta più stupido e sfigato (il nostro) visto con gli occhi di tenero stordimento e sgraziata inermità di due emarginati che si trovano al fondo della società. Louise è un’operaia francese che si ritrova la fabbrica smantellata durante la notte e senza lavoro. Assolda con le colleghe un killer per uccidere il capo: ognuna mette i 2000 euro che spettano loro come liquidazione dopo vent’anni in fabbrica. La scelta cade su Michel, non esattamente un professionista impeccabile degli omicidi su commissione. Prodotto da Mathieu Kassovitz, che appare anche in un cameo come i due autori - che si erano già messi in luce con il tossico Avida - il film miscela senza tatto o cautela, politica e humour nero. Il titolo richiama Louise Michel, figura cardinale del movimento anarchico francese. La coppia più malsana del mondo, interpretata con granitica ottusità da Yolande Moreau e Bouli Lanners, attraversa in lungo e largo i tristi tropici della nostra contemporaneità da Bruxelles agli States, sfregiando i tumulti della cronaca con la determinazione inarrestabile dello sberleffo. Ce n’è per tutti: ambientalisti, terroristi, alta finanza e anche transgender (come scopriamo nel finale). Difficile da descrivere, impossibile resistergli, come se fosse un film di Buñuel girato da Mel Brooks, o il contrario, pieno di grandangoli e rock indipendente, è la piccola bibbia del politicamente scorretto, l’atlante grottesco di un mondo troppo sbagliato per essere preso sul serio. Sono le sue ingiustizie a essere di cattivo gusto, non quello del film. Non perdetelo e non perdete ciò che c’è dietro i titoli di coda: l’ultimo conato del suo anarchismo stralunato.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 13 del 2009

Autore: Mario Sesti

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