Regia di Benoît Délepine, Gustave Kervern vedi scheda film
LOUISE MICHEL (il cinema di Benoît Délepine e Gustave Kervern)
Amo il cinema francese, la delicatezza e l’intelligenza con cui trattano gli argomenti è assolutamente e indiscutibilmente di loro proprietà e riflette il loro modo di affrontare le cose. È, più di altre nazioni, la personalità di un popolo. Almeno questo ò il mio punto di vista. Lo ò diventato negli anni, a guardare il cinema di Rohmer, la sua guida turistica della capitale francese attraverso le camminate dei suoi personaggi, e tutto il contrario, Truffaut e le sue splendide cronache di donne e fanciulli, e tutto il contrario, il sipario oltre il telo dei film teatrali di Rivette, e tutto il contrario, la psicologia di Resnais e il suo contrario. Poi l’ante e l’anti Nouvelle Vague di Renoir, Clement, Melville, Deray ecc. ecc. e il loro contrario.
Si, il loro contrario, perchè esista il nero ci deve essere anche il bianco. Certe volte bisogna cercarlo e sperare che valga altrettanto, che la ricerca non sia deludente. Il contrario del cinema francese io credo di averlo trovato, ed è francese pure esso. È splendido, nella sua sgradevolezza.
Sottile, perverso ma/ed estremamente intelligente, il cinema di Bemoit e Kervern è lo specchio che coraggiosamente ci viene messo davanti agli occhi a ricordo di ciò che sappiamo o dovremmo sapere, ma tendiamo a mettere da parte. Con visioni reali o immaginarie di notevole efficacia i due registi prepongono una terapia alla nostra voluta o meno amnesia e ci ricordano ciò che siamo: violenti, sgradevoli per lo più a vedersi e da ascoltare, ipocriti.
Lo fanno con una indelicata ironia e una malcelata cattiveria. Ma è tutto un gioco.
Come dicevamo, è anche lo specchio dell’intero cinema francese, per quel che ne ho dedotto, con i suoi personaggi caricaturali, con le loro scenografie semi oniriche con i dialoghi secchi e taglienti senza mezzi termini i due registi che ho scoperto da non molto guardando (dietro suggerimento) il più recente “Mammuth” (anch’esso splendido) e solo in seguito, viaggiando a ritroso, l’antecedente “Louise-Michel”, sembrano continuare un viaggio già cominciato da Jean-Pierre Jeunet e Marc Caro con “Delicatessen” togliendo alla favola il suo romanticismo e sventolandolo come uno straccio sporco per poi calpestarlo volontariamente.
È un nuovo cinema? Continuerà. Si evolverà?
Spero proprio di si, è giusto che non ci siano solamente e semplicemente belle facce e buone intenzioni nel cinema di questi tempi, ma che qualcuno nasconda lamette tra cibo e cuscini. La storia di Louise Michel è a grandi spanne quella di una vendetta epocale quanto giusta: quella di una classe operaia dimenticata e abbandonata (prima di tutto da se stessa) che decide di vendicarsi del proprio datore di lavoro, anzi, del proprio padrone decidendo di assumere un killer per ucciderlo. È la storia del mandante e dell’esecutore ed è un altro gioco di specchi, anzi, di un solo specchio che ci mette di fronte i due protagonisti che danno il titolo al film e che (ancora) sono l’uno il contrario dell’altro. La sincerità più ingenua e l’ipocrisia più becera. Agitare prima dell’uso, divertirsi, osservare e pensare, signori, pensare per davvero.
Nota a piè di pagina: splendida colonna sonora, si accettano informazioni.
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