Regia di Benoît Délepine, Gustave Kervern vedi scheda film
Louise & Michel sembra la parodia del Muppet Show di Assassini Nati. Con Mickey rincoglionito duro dal rumore degli spari e Mallory gonfia e intontita di droghe, entrambi divenuti obesi a colpi di muffin al cioccolato e merendine.
Esilarante e molto scorretto, il film di Dèlpine/Kervern è in verità la rappresentazione in chiave schizoide della lotta di classe ficcata nella società in crisi, filtrata dalla violenza dissennata delle province meccaniche lasciate a divorarsi le interiora da interessi economici più grandi della vita stessa, fotografata dalla lente deformante dell’iperbole e del grottesco. Così la classe operaia è ritratta come una demente entità dai bassi istinti e brutalmente ignorante di cui Louise è fiera portabandiera. L’incontro con Michel, deficiente infantiloide che si crede un killer, è solo chimica, un destino che si arrende a due mezze mele uniche nel loro essere mentecatto. Nella ricerca del “capo” da fare fuori viene ritratta una società economica che gira su piani diversi da quelli degli umani, scatole cinesi, boss che hanno sempre un boss un po’ più in alto a cui fare da riferimento e quindi da uccidere. La presenza dei due personaggi, totalmente inadeguati alla vita senziente terrestre e disegnati anche in forme fisiche di idiozia conclamata, riesce a far collassare ogni realtà consolidata, rende grottesca qualsiasi situazione e ripugnante l’assoluta mancanza di morale che esibiscono in ogni situazione.
Fotografato coi colori acidi e lividi della bile, il film è una commedia nera quasi tutto a camera fissa, o meglio, attonita, sulle gesta criminali- vendicative dei due proletari incazzati, inchiodati alla scena da impietosi grandangoli che mettono in risalto l’ingombrante incedere dei loro corpi.
Lei gibbuta e grigia come un bigfoot femmina dallo sguardo freddo e stupido e lui panciuto e ballonzolante come un orso da circo sembrano fuori luogo in qualsiasi ambiente, prodotti terminali di una società demente che fabbrica mostri per indifferenza e con indifferenza ne subisce l’esistenza. Caratteri che la camera fissa mette in risalto con divertito distacco, infatti non c’è “aiuto” dal movimento di macchina, la fissità dello sguardo fa risaltare in modo grottesco le due “creature” muoversi nello spazio dell’inquadratura, immobilismo in netto contrasto con l’assurdità delle loro azioni e soprattutto dei loro discorsi, elementari grugniti bofonchiati con una logica naif, stile dettato da una consapevole idea di cinema che vira il tutto in qualcosa di estremamente comico.
Si ride molto, molto spesso a denti stretti, ad improvvise scene comiche si raccordano slanci grotteschi, la ricerca dell’iperbole è costante, le invenzioni surreali sono geniali. La commedia francese tradizionale si fa pulp, incotra il tenente Drebin de La pallottola Spuntata in un film di Kaurismaki e prende - finalmente - a calci in culo Ken Loach. Solo, rimane un sospetto, labile in fondo alla nuca, là dove partono i brividi di freddo che corrono come scolopendre lungo la schiena: e se fosse tutto uno specchio?
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