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Louise Michel

Regia di Benoît Délepine, Gustave Kervern vedi scheda film

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L'autore

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La recensione su Louise Michel

di (spopola) 1726792
6 stelle


Io definirei “Louise & Michel” un film laido (nella forma della rappresentazione ovviamente) che vorrebbe avere nella cattiveria, nel politicamente scorretto, nel bizzarro, il suo punto di forza ma ci riesce solo parzialmente, perché dopo dieci minuti il giochetto risulta così scoperto e risaputo, così ripetitivamente ingombrante col suo “fuoco di fila” di stramberie affastellate l’una sull’altra, che l’evidente eccesso di zelo degli autori, portato qui alle estreme conseguenze, risulta a volte così “forzato” (amplificato) da ingenerare persino il rigetto della noia… quasi un boomerang insomma che alla fine, si ritorce contro per quell’effetto perverso di “sazietà riempitiva” che genera sempre indigestione anche quando si tratta di “idee” o di “trovate”. Ci sono infatti tali e tanti accumuli di stravaganze, di grottesche “annotazioni” sopra le righe, da creare un “disagiato” senso proprio di saturazione per overdose: le “esuberanze” e persino le “divagazioni” sono disseminate ovunque, percorrono ogni inquadratura ed ogni azione e finiscono per apparire ripetitivamente corrive, ci si “fa il callo” in un certo senso, si può dire, e questo fa smarrire anche parecchio di quel “vetriolo” che effettivamente c’è stato messo dentro senza però un adeguato “dosatore” che lo bilanci. Più che degli altisonanti accostamenti che si sono fatti in giro dai Cohen a Kaurismaki (che è quello più direttamente “avvertibile”), da Gilliam a Mel Brooks fino ai Deardenne!?! (citati proprio dagli autori come riferimento “ispirativo” alla materia) e oltre (“Fantozziano” o “Bunueliano” a seconda degli altrettanto stravaganti punti di vista ai quali forse ci si potrebbe persino aggiungere – volendo - qualcosa che ha a che fare anche con l’ultimo Von Trier e il suo “Il grande capo” e lo Iosseliani di “Giardini in autunno”, ma sarebbe una fin troppo generosa concessione), il risultato complessivo mi ha fatto pensare a certe operazioni demistificanti della goliardia di una volta (nelle modalità, non nel senso ovviamente che qui è molto più “nobile” e sentito), quelle che trovavano spazio nelle rappresentazioni teatrali eccentricamente folli e piene di boutade assurde e deliranti della “giornata” delle matricole (non sempre e solo “Ifigonia” in fin dei conti, ma a volte permeate persino di una salace “critica” sottesa e strampalata, ma con la finalità più che di un invito alla riflessione, di riderci sopra con “goliardica spensieratezza”). Certo che qui a nobilitare il tutto (ma non basta) c’è la critica profonda che vuole usare il controsenso “espanso” con l’intento di stigmatizzare, sparando a zero (o meglio mettendo paradossalmente alla berlina) su ogni aspetto e cosa che conformizza la società e il mondo che ci circonda… un “accumulo” di nefandezze che sono poi quelle che rendono caotico e incerto il percorso della vita, che ci avvelenano l’esistenza… le derive irreversibili in sostanza che ci costringono a considerare incerto il presente e pochissimo “affidabile” il futuro. E ce n’è davvero per tutti (e anche questo è eccessivo e “dispersivo”, forse ancora di più dei troppi “numi tutelari” sopra ricordati, perché non aiuta a “discernere” e sviscerare, quasi che, forti di “cotanta grazia di generosità referenziali” ci si accontentasse poi (gli autori, intendo) di soffermarsi troppo in superficie senza arrivare davvero al nocciolo delle tante questioni messe in campo. Perché qui c’e n’è davvero per tutti, e non solo per il corrotto mondo della finanza e delle Aziende “scatole cinesi” che rappresentano il sistema e non certo l’eccezione (persino la scelta del titolo è un po’ troppo “pretestuosamente” riferita, come indicazione “metaforica”, alla grande anarchica francese - Louise Michel, appunto - protagonista dei giorni eroici e sanguinosi della “comune” che fa parte certamente in Francia della Iconografia anarchico/rivoluzionaria). Ce n’è persino per i due stralunati protagonisti (antieroi sfibrati da soprusi d’ogni sorta, schiacciati dal capitalismo rampante che ne fa carne da macello e poco più… triturati dalla logica implacabile del “profitto”) rivoltanti persino fisicamente… (ma non è eccessivo pigiare il pedale oltre il “necessario” con il problema del “transgenderismo” incrociato?)… Il dito è puntato davvero su ogni cosa, e non semplicemente sulle “tragedie” del mondo del lavoro (è per questo che parlano - a mio avviso impropriamente - dei Deardenne?) visto che la sarabanda si (dis)orienta in ogni direzione, dalla desolazione delle malattie terminali biecamente utilizzate, alla solitudine che ci corrode tutti, passando via via per il terrorismo, i finanzieri corrotti e col pelo sullo stomaco, persino dalle parti dell’ecologia esasperata… e anche tutto questo guazzabuglio non è poi del tutto positivo perché non aiuta a “concentrare” il senso, poiché per riuscire in pieno nell’intento, con la tanta (troppa) carne al fuoco che è stata messa, dovrebbe esserci una qualità stilistica di grana meno grossa, un senso del ritmo più coerentemente sostenuto che spesso qui invece ha troppi cedimenti, si dovrebbe poter contare su una inventiva e una variabilità di toni molto più accentuata. Insomma per eccesso di eccentricità, alla fine si banalizza il tutto, perde di mordente persino il senso distruttivamente critico che dovrebbe sorreggere l’impianto, come già accennato. Una torre di Babele caoticamente frastornante in conclusione, che ingenera assuefazione fino alla “distrazione sonnolenta”, e fa smarrire anche “quel che resta” di un disegno paradossale e a suo modo cinico, spinto fino alle estreme – quasi demenziali per come sono espresse – conseguenze.

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