Regia di Tatia Rosenthal vedi scheda film
9,99 dollari australiani è il prezzo di un manuale sul senso della vita. Il giovane Dave Beck lo compra per corrispondenza e lo legge, ma non è lì che si trovano davvero le risposte. Queste sono scritte, invece, in un linguaggio magico e cifrato, dentro le pieghe della normale esistenza della gente comune, in quei piccoli angoscianti misteri continuamente prodotti dai capricci del caso. Sono gli eventi banali ad aprirci le porte del paradiso, scostando i battenti quel tanto che basta a lasciarci intravvedere un margine di salvezza, quel sottile spicchio di ottimismo che è un commovente anticipo di beatitudine celeste. La quotidianità degli inquilini di un caseggiato di Sydney diventa, sotto lo sguardo dello scrittore israeliano Etgar Keret, autore del soggetto, l’avventuroso teatro della Rivelazione, che avviene, per ognuno, in modo diverso, offrendo a ciascuno un’occasione su misura, una sfida personalizzata, una lezione pensata apposta per lui. In quel palazzo c’è chi ha bisogno di imparare la gioia (Jim Beck), chi l’amore (suo figlio Lenny), chi la libertà (il vecchio Albert), chi la serietà (Ron), chi, infine, la modestia e la sobrietà (il piccolo Zack). Lungo il percorso c’è un angelo barbone a far da segnavia, ricordando che, così come ogni nostro gesto si svolge sempre a un passo dalla morte, così anche la felicità è, per tutti, un bene a portata di mano. L’animazione diretta da Tatia Rosenthal ci ripropone, con la semplicità tipica dell’infanzia, i veri pupazzi animati, quelli impastati di creta e modellati con le dita, carnosi ed imperfetti, e, per questo, realisticamente vivi e concretamente umani. Il movimento rallentato e discontinuo della tecnica del passo uno scandisce il ritmo dell’azione, della parola e del pensiero come se fosse il battito di un lavorio interiore, avente l’espressività del viso e del corpo come faticosa manifestazione esterna. In questo modo, ogni istante si apre a libro sulle mille sfaccettature dell’anima, sulla complessità della logica e sulla delicatezza delle emozioni, rompendo, in un’esplosione di filosofica fantasia, la serrata concatenazione di causa ed effetto. Così anche la semplice richiesta, da parte di un mendicante, di una sigaretta e di un dollaro per un caffè, può svilupparsi in un raffinato discorso morale: un capolavoro di dialettica e poesia che questo straordinario film ci regala nella scena di apertura.
Dalla sezione “L’altro cinema-Extra” del Festival di Roma del 2008 ci giunge questo piccolo, timido gioiello di riflessione esistenziale, che trasforma la fragilità dell’essere nel sensibile e vibrante tocco di una creatività acerba: un’immaginazione che si fa subito materia e, come il tremulo ago di una bussola, indica da lontano nella direzione di un remoto punto di riferimento, e di un invisibile traguardo.
“C’è qualcosa, nella religione ebraica, che riguarda l’importanza della fede in quanto tale. Non riguarda la realizzazione di un desiderio, bensì il fatto stesso di avere un desiderio. È questo a renderci felici. Nella società odierna tutto ciò che non si può avere si abbandona. A me piace pensare che il film parli delle persone che non rinunciano alle cose che non possono avere.” (Etgar Keret)
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