Regia di Ján Kadár, Elmar Klos vedi scheda film
Gioiellino della nová vlna del cinema cecoslovacco, quella stessa che produsse lavori come "L'asso di picche" e "Gli amori di una bionda" di Milos Forman, nonché "Treni strettamente sorvegliati" di Jiri Menzel. Con il modo leggero - che non vuol dire superficiale - per così dire "hrabliano", tipico del cinema cecoslovacco degli anni precedenti alla repressione sovietica, Kadár e Klos raccontano una vicenda il cui sottofondo ed i cui sviluppi affondano nel tragico: la Slovacchia descritta nel film (siamo nel 1942) è occupata dai Tedeschi ed attraversata dalle tenebrose squadre dei miliziani fascisti seguaci di monsignor Tiso e costituisce lo scenario per le leggi disciminatorie nei confronti degli Ebrei, e poi per la loro deportazione verso i campi di sterminio. Per di più, il tema del film ha a che fare con il senso di colpa di chi, come il falegname ariano protagonista (cui viene affidato il compito di "arianizzare" la merceria dell'anziana vedova ebrea Lautmann), collaborò, quasi senza accorgersene, all'olocausto. Dal punto di vista critico non si può, come fa per esempio Mereghetti, esaltare un film come "La vita è bella di Benigni" e condannare "Il negozio al corso" perché affronta con tono leggero un argomento serio come lo sterminio degli Ebrei: chi abbia guardato con occhio attento quest'opera appassionata di Kadár e Klos comprende facilmente che è lontana le mille miglia dalle loro intenzioni qualsiasi tentazione di facile comicità, come testimonia la minacciosa piramide di legno costruita dai fascisti; mentre chi conosca anche minimamente la civiltà e la cultura cecoslovacca (oggi purtroppo divisa nelle due distinte repubbliche Ceca e Slovacca) non può non sapere che la vita stessa di quel popolo è fatta di bonaria accettazione dei fatti della vita, spesso aiutata da colossali bevute, canti e ballate. Non è colpa loro se hanno vissuto la tragedia della guerra con stato d'animo diverso dal nostro, seppure con gli stessi tragici problemi. Ottimi tutti gli attori, tra i quali preferisco non fare distinzioni.
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