Regia di Jane Campion vedi scheda film
Riesce sempre a fregarmi, la Campion: eppure ormai dovrei aver imparato a conoscerla. Questa volta ci speravo proprio che riuscisse a tirare fuori qualcosa di decente, perché sulla carta la storia d’amore fra Keats e Fanny Brawne era un soggetto allettante; ma non c’è niente da fare, la regista la affronta con il suo solito immaginario da tredicenne cerebrolesa. Lei punta lui fin dalla prima scena; lui fa il prezioso, la punzecchia, salvo poi fare una piazzata quando un altro le regala una valentina: sembra di trovarsi in una striscia dei Peanuts, invece siamo in quello che vorrebbe essere un melodramma. Poi c’è un periodo di lontananza, durante il quale i due si scambiano lettere del tipo “Mi ami? ma quanto mi ami?”; una volta che lui tarda a rispondere, lei manda a chiedere un coltello da cucina per uccidersi. Dopo un’ora, finalmente, lui si ammala; ma il sollievo per lo spettatore è di breve durata, perché iniziano le scene di vittimismo ricattatorio (non ho denaro, ospitatemi a casa vostra, e magari pagatemi un viaggio per l’Italia). Alla fine lui muore e lei resta fedele alla sua memoria, fra gli applausi del pubblico di adolescenti che a quel punto hanno le lacrime agli occhi. Io mi limito ad aggiungere una mezza stella, perché riascoltare La bella dama senza pietà o l’Ode a un usignolo fa sempre piacere; ma il merito è di Keats, non della Campion.
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