Regia di Oliver Parker vedi scheda film
Al suo terzo adattamento da Oscar Wilde, dopo L’importanza di chiamarsi Ernest e Un marito ideale, Oliver Parker affronta l’opera più celebre dello scrittore. Sceneggia, per nulla intimorito, l’esordiente Toby Finlay che rimaneggia il testo aggiungendo, tra le altre cose, Emily Wotton, suffragetta figlia del dandy Henry Wotton. Le innovazioni però non convincono e finiscono per rendere Dorian vittima anziché artefice del proprio destino. Ma questo è il meno: la venatura da thriller soprannaturale data alla vicenda, con tanto di impennate di volume per far sobbalzare lo spettatore, risulta del tutto incongrua, così come stonano le sequenze sensuali, dalla fotografia sfocata, che suggeriscono un Dorian masochista, anziché tacere in un più affascinante silenzio la perversione del personaggio. Inoltre Ben Barnes, belloccio senza carisma, convince davvero poco e non va molto meglio a Colin Firth quando, nella seconda parte del film e invecchiato dal trucco, incarna un ravveduto e più rassicurante Wotton. Non si salva neppure Ben Chaplin nei panni del pittore Basil Hallward, il cui rapporto con Dorian viene del tutto esplicitato. Ma se si voleva mostrare tutto bisognava andare fino in fondo, invece Parker si ferma a una patinata pruderie. E Il ritratto di Dorian Gray non lo meritava.
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