Regia di Marco Amenta vedi scheda film
Un gran bel film, sulla mafia e la psicologia. Una delle prime testimoni di giustizia (per certi versi apparentabili ai pentiti), Rita Atria, ancora minorenne, riceve qui un adattamento biografico dei propri diari fedele il giusto, pur con qualche lecita e auspicabile licenza. E dire che sua cognata, Piera Aiello, eletta tre anni fa in Parlamento con i 5stelle, è stata proprio il suo riferimento per questo progresso, ed è tuttora un simbolo vivente dell’antimafia.
Il pregio sta proprio nella perfetta introspezione piscologica del fenomeno mafioso. La protagonista, figlia di mafiosi di spicco di Partanna (Trapani), non può liberarsi dall’educazione (maleducazione) che le è stata impartita, in modi ben più impliciti che dichiarati: il film mostra proprio che l’illegalità può essere combattuta solo c’è un’analisi pubblica, esplicita, di essa. Il non detto, l’implicito, il non chiarito, è proprio l’anticamera dell’omertà, del silenzio delle parole e del pensiero, che facilmente si accompagna a condotte violente, e le rafforza. Quando c’è di mezzo qualcosa che conta, il non voler sapere è non voler capire: l’humus ideale per il pus dell’ignoranza.
Efficace (anche se non ben recitata da Gerard Dugnot, oltre tutto mal doppiato), è la figura, anche qui storica e reale, di Paolo Borsellino: isolato, votato alla morte contro ogni suo desiderio. Ma il bene pubblico prevale in lui: questa non è retorica. Subisce con dignità gli oltraggi della cultura dell’antistato, cercando tutti i pertugi per affermare una legalità che è condizione di felicità per tutti. È l’opposto dello stato come imposizione rapace di ricchi privilegiati, e spesso violenti: così i siciliani spesso han visto lo stato in generale, da cui bisognava difendersi, come il film indica.
Il cambiamento culturale che la repubblica porta con sé (pur frenato da tutti coloro che l’han tradito, usando potere e politica per i classici vantaggi individuali economici di pochi), è ben effigiato da questo film del coraggioso, e capace, Amenta, siciliano che già nel 2004 ha firmato un bel documentario su Provenzano.
Giudici di immenso coraggio, e pentiti (se lo sono davvero, e non tutti lo sono stati) che ascoltano la loro coscienza e il loro bisogno di felicità, che li porta a non poter più tollerare il successo degli iniqui: sono le principali speranze (assieme al un elettorato non sadomasochista) per eliminare un tumore come quello della malavita organizzata, specialità in cui l’Italia è triste maestra agli occhi del mondo intero, con danni incalcolabili per la cittadinanza. Tali magistrati e pentiti sono figli appunto di una cultura democratica, popolare, senza cui questi cambiamenti sono impensabili. Cultura democratica che ha bisogno dell’istruzione per far riflettere opportunamente, come dicevamo prima, e affermare i suoi irrinunciabili valori morali a tutela del bene di tutti allo stesso modo. Il film ravvisa la necessità di tale istruzione proprio facendo cogliere i mali della sua assenza.
La protagonista è una donna minorenne: che è stata riscattata, dalla Costituzione, da una condizione di minorità mentale e sociale, che invece è evidente per la madre. Lo scontro generazionale è stupendamente inscenato: ed è autentico, con quell’orribile madre (interpretata da un’eccellente Lucia Sardo), che davvero ha spaccato la lapide della figlia al cimitero.
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Amenta e da Sergio Donati, è straordinaria nel tratteggiare ogni singola sfumatura emotiva rilevante. Purtroppo, deve rilevare tutta la solitudine, cui è costretto al Sud chi vuole essere fino in fondo onesto, di una ragazza adorabile, per il temperamento. Veronica D’Agostino recita perfettamente una parte difficilissima, di quelle che Claudia Cardinale e poche altre sapevano incarnare. Notevole il progresso nella mente della ragazza, l’unico auspicabile: si fa muovere non più dal bisogno della vendetta, ma da quello dalla giustizia.
Splendida anche la fotografia di Luca Bigazzi: memorabile, fra le altre, la scena dell’uccisione del padre, con la figlia di 9 anni sola che grida aiuto, con il vestito della comunione e la pistola in mano, mentre tutti scappano pur di poter mentire dicendo di non aver visto nulla. Compresa la suora che si affretta a chiudere le imposte.
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