Regia di Fruit Chan, Takashi Miike, Chan-wook Park vedi scheda film
Tre talenti del cinema orientale uniscono le forze in questo horror ad episodi inquietante e piuttosto riuscito. Il primo, "Dumplings (ravioli)", dell'hongkongese Fruit Chan è il più convenzionale nello svolgimento, ma anche quello dei tre che più mette alla prova lo stomaco dello spettatore: protagonista è una attrice che, ossessionata dal desiderio di ringiovanire, ricorre alla dieta di una certa Zia Mei: ravioli con ripieno di feti abortiti. Con passo lento, fatto di primi piani ed attenzione ai particolari, e dialoghi dall'effetto straniante, il regista ci mostra impietoso il progressivo passaggio della protagonista oltre il limite della decenza, senza risparmiare nulla allo spettatore, ma allo stesso tempo senza mai dare l'impressione di aver esagerato. Un piccolo miracolo di equilibrio che a Venezia ha fatto gridare allo scandalo e fuggire dalla sala i soliti bacchettoni. Equilibrio che invece in parte manca nel secondo episodio, quello del coreano Park Chan-wook, dal titolo "Cut": qui un noto regista viene rapito insieme alla moglie e segregato in un set cinematografico da una comparsa che, per invidia, non riuscendo ad accettare che l'uomo oltre ad essere ricco e famoso sia anche di animo buono, cerca di farlo diventare almeno cattivo costringendolo ad uccidere una bambina. Ambientato quasi totalmente all'interno del set, il film è visivamente impressionante, viaggia ad un gran ritmo, e ha almeno una scena da applausi (quella del balletto, grottesca ed agghiacciante) ma pecca nei dialoghi, talvolta artificiosi e sopra le righe, e nella ricerca sistematica del colpo di scena, che porta ad un finale sì sorprendente, ma difficile da comprendere e soprattutto da giustificare. La chiusura spetta a Takashi Miike, ormai una vera istituzione dell'horror giapponese, con "Box": 40 minuti dietro agli incubi e alle ossessioni di una scrittrice perseguitata dai sensi di colpa per un terribile incidente che da ragazzina causò la morte della sorella. Un viaggio onirico in compagnia di una mente devastata, in cui è praticamente impossibile distinguere i personaggi reali da quelli di fantasia, che culmina con un finale spiazzante, poetico ed incomprensibile. "Three... Extremes" è quindi da considerarsi un esperimento riuscito, in cui i singoli episodi, oltre ad essere mediamente di buona fattura (seppur con qualche riserva per il secondo), e nonostante le cifre stilistiche inevitabilmente differenti, si integrano tra loro in maniera tutto sommato convincente, avendo tutti come tema portante quello di una qualche angoscia comune non solo al pubblico orientale ma a quello di ogni latitudine.
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