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Il messaggero della morte

Regia di Roger Christian vedi scheda film

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La recensione su Il messaggero della morte

di moonlightrosso
4 stelle

Per alcuni un piccolo capolavoro da riscoprire ma ad avviso del sottoscritto occorre allinearsi a coloro che decretarono l'insuccesso della pellicola...

Curioso e anomalo horror soprannaturale incentrato sulla figura di un ragazzo (lo sloveno naturalizzato statunitense Zeljko Ivanek) salvato dal suicidio mentre tentava di annegare in un lago. Ricoverato in una clinica psichiatrica per le dovute osservazioni, viene seguito dalla D.ssa Gail Farmer (Katryn Harrold); entrato in contatto telepatico con quest'ultima, le trasmetterà visioni e incubi che costituirono il trauma scatenante della sua emarginazione e della sua follia.

Nonostante i cultori della materia abbiano giudicato il film come un piccolo capolavoro di tensione con effetti splatter ben calibrati e mai gratuiti, lo scrivente preferisce invece prudenzialmente allinearsi a quella schiera di spettatori che sostanzialmente decretarono l'insuccesso della pellicola al botteghino.

L'onesta ma anonima regia del britannico Roger Christian, qui in trasferta americana, deve purtroppo fare i conti con interpreti scialbi, con la sola eccezione di Shirley Knight, nel ruolo della madre del protagonista, la cui partecipazione si riduce purtroppo a poche pose per un personaggio non adeguatamente tratteggiato al pari di tutti gli altri. In tale contesto, non ci si deve sorprendere se gli sconosciuti caratteristi chiamati a interpretare i pazienti della clinica psichiatrica, vagamente e maldestramente ispirati ai personaggi del "cuculo" formaniano, difficilmente saranno ricordati a futura memoria; personaggi che, in mani più coraggiose e ispirate, avrebbero potuto esser forieri di quella bizzarria elemento cardine del cinema di genere a basso budget.

Una sceneggiatura poco curata unita a tempistiche narrative eccessivamente dilatate e loop temporali non sempre coerenti contribuiscono inoltre non poco ad allentare la tensione rendendo soporifera una vicenda, già di per se stessa di non facile comprensibilità.

Nonostante alcuni buoni effetti speciali (vedasi alcune situazioni oniriche di discreto impatto; l'incendio finale e soprattutto il sangue che cola dallo specchio, direttamente ispirato al misconosciuto "I criminali della galassia" (1965) del nostro Antonio Margheriti e che verrà ripreso dall'acclamatissimo kubrickiano "Shining"), il film rinuncia inoltre a quelle potenzialità "weirde" che avevano caratterizzato il decennio precedente. Le immagini vivide e sporche di certo cinema indipendente devono cedere ad atmosfere patinate atte a conferire un che di fintamente rarefatto e posticcio; in linea con il "pulitino" e il "politicamente corretto" che informeranno ahinoi il cinema degli anni a venire, anche i dialoghi, dal canto loro, vengono totalmente e accuratamente epurati da qualsivoglia componente sboccata, sessista e volgare.

Con uno sguardo rivolto più al mercato dell'"home video" che a quello dei "drive in", il film difetta altresì di quegli stilemi diretti a satollare il becerume di noi poveri spettatori dei cinemini di periferia, trasformatisi all'epoca del girato in avidi fagocitatori di videocassette dalle copertine più fantasiose e "strane" offerte dalle prime pionieristiche e scalcinatissime videoteche.

A tal riguardo, nonostante la storia prestasse più d'un fianco a una deriva erotica fra paziente giovane e dottoressa matura, assai gradita da noi inguaribii fruitori e assertori d'emozioni "a bon marchè", magari in crisi con il suo capo (un altrettanto scialbo Paul Freeman), il film rimane anche sotto questo profilo un'occasione perduta: la Harrold, che non può certo definirsi un campione di espressività, limitandosi a esibirci un paio di tette da "miss wet T-shirt" celate dalle trasparenze del pigiama, rinuncia dunque a riscattare in maniera pruriginosa un ruolo costellato da espressioni imbambolate e che rimane inevitabilmente relegato nel dimenticabile. Ben diversa sarà la sorte della procacissima e assai più disponibile starlet Barbara Crampton la quale, consapevole di non poter far concorrenza a Meryl Streep, nè di aspirare a un "Golden Globe", ebbe a costruirsi con lo splatterissimo "Reanimator" (1985) un "radioso" futuro di reginetta dell'horror "low cost".

In definitiva un film senza mordente troppo scolastico per essere autoriale ma anche carente di quella matrice "outrè" necessaria per cavalcare l'onda del bizzarro e, perchè no, anche del tanto e ingiustamete vituperato trash; un trash che ormai tendeva sempre più a rimanere emarginato nella cialtroneria dei "Troma-movies" e in qualche altra sparuta eccezione di cinema indipendente.

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