Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Ce ne sono tanti e troppi di motivi per non additare questo film come capolavoro ma sono troppo pochi anche quelli a sostegno del fatto che sia un film qualsiasi. Spesso è opportuno chiedersi cosa ne sarebbe stato di un film se a girarlo fosse stato un altro regista ma porsi questa domanda riguardo a Gran Torino (così come ad altri film di Eastwood) significa dimostrare superficialità ed adottare un approccio non olistico e quindi limitato. Il personaggio di Clint Eastwood è parte integrante del significato del film, è il suo stesso contesto e la sua morale. Eastwood è un'istituzione, un grandissimo cantore, un'epoca e tutto questo genera un impatto che, ovviamente, nessun altro regista avrebbe potuto imprimere. Da questo punto di vista (e questo soltanto) quest'ultima apparizione del vecchio Clint rappresenta un compendio della sua carriera e dei temi da lui trattati ed assurge di diritto al titolo di capolavoro. Ma non sarebbe giusto fermarsi qui ed ignorare che Gran Torino di ingenuità e debolezze ne manifesta non poche. Ridicolo vedere un vecchietto che tiene testa a bande di teppisti, con la disinvoltura di un Chuck Norris qualsiasi. Sarà pure armato ma lo sono anche i teppisti, sarà pure un duro ma lo sono anche i teppisti. La band di colore, per esempio, è lontana anni luce dall'avere una parvenza realistica, sia nel linguaggio che negli atteggiamenti che nell'attitudine alla violenza e Walt Kowalski ha facilmente ragione di loro nonostante sia gravemente malato. Altra forzatura evidente, il rapporto con i vicini. Si passa da un razzismo viscerale ad una condivisione fraterna; per un semplice atto di giustizia la casa del vecchio viene riempita di doni ogni giorno ed egli viene persino invitato in casa loro. Lì avvengono assurdità di ogni tipo, dal vecchio sciamano che legge la vita di Walt solo guardandolo, alla ragazzina che gli si avvicina e gli parla in un atteggiamento tutt'altro che naturale. Insomma Gran Torino è pervaso di un respiro epico, ha il pregio di cambiare finalmente i valori di cui Eastwood si è fatto sempre portavoce attraverso un finale che stravolge la morale del cow boy a vantaggio di una lezione di vita molto più sensata e grandiosa, si lascia guardare con piacere e ammirazione ma ha anche dei punti deboli e delle forzature sebbene non disturbino il film in maniera irritante limitandosi solo a renderlo inverosimile e talora ridicolo (i dialoghi, per esempio, sfiorano spesso la banalità ma sono essi stessi parte del contesto "Eastwood" di cui sopra). Voto: 7,5.
Quasi assente. Qualche innesto in più poteva dare un valore aggiunto.
Tecnica indiscutibile, meno la sostanza dei temi trattati che raramente risulta originale. Il finale però, almeno in questo film, contraddice piacevolmente questo assunto.
Si chiude la sua parabola di attore, in maniera impietosa (e per questo ancor più grandiosa). Ieri Lee Van Cleef lo chiamava "ragazzo", oggi un ragazzetto asiatico lo chiama con la stessa confidenza "vecchio". Difficile trattenere il magone.
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