Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Com’è possibile che un ragazzo cresciuto in una baraccopoli e impiegato in un call center sia riuscito a vincere il premio finale di un quiz televisivo? è ciò che vorrebbe sapere anche la polizia: le domande che gli pone (in modo un po’ brusco) sono il pretesto per fargli ricostruire la travagliata storia della sua vita. La vicenda consiste programmaticamente in una sequela di inverosimiglianze e il meccanismo è prevedibile, anche se si cerca di movimentarlo un po’; fin dall’inizio è chiaro che l’ultima domanda avrà a che fare con i tre moschettieri e che il concorrente chiederà l’aiuto da casa (un’idea presa pari pari da Il mio migliore amico di Leconte). L’ambientazione è inquietante, ci si aspetta da un momento all’altro di veder sbucare Gerry Scotti (lui non c’è, ma al suo posto c’è un surrogato quasi altrettanto insopportabile). Ma il vero problema è che qui si cerca troppo palesemente la complicità dello spettatore, facendogli trovare pronte le emozioni che si aspetta nel momento in cui se le aspetta. Una di quelle cose che piacciono tanto agli americani, che non a caso hanno premiato il film con una pioggia di Oscar. Come sono lontani i tempi in cui Fred MacMurray diceva “Non ho avuto i soldi e non ho avuto la donna”: oggi un bamboccione inespressivo può conquistare entrambi, e il pubblico applaude.
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