Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Com’è difficile smitizzare un artista ch’è divenuto un mito, come nel caso di Danny Boyle, dal grande pubblico conosciuto come il regista britannico del troppo osannato Trainspotting, e che ora ha confezionato anche il suo film bollywoodiano.
La storia, ispirata al bestseller “Q&A”, dell’indiano Vikas Swarup, è quella di Jamal Malik, un giovane che si guadagna da vivere facendo l’assistente, al modo di chi piuttosto altro non è che “il ragazzo del the”, in uno dei numerosissimi call center di Mumbai, che offrono servizi telefonici a tutto il pianeta. L’unica speranza che gli resta per ritrovare l’amore della sua infanzia e poterle offrire un qualche futuro è quella di partecipare a “Chi vuol esser milionario?” e vincere più soldi possibile. Incredibilmente, il ragazzo ha più fortuna di quanto non potesse lui stesso immaginare.
Il film di Boyle è un’accozzaglia di generi: dallo sperimentato glamour finto-indy della Nair (il coregista di Boyle, Loveleen Tandan è il responsabile del casting di Monsoon Wedding), al musical dell’ultimo Friedlander (Ti va di ballare?), fino all’horror, modello De Filippi-Costanzo-Isola-Mediaset. Nel film, addirittura poco convincente appare anche la stessa cornice dello show in tv, tanto da far rimpiangere anche il nostro peggiore Gerry Scotti. E’ un film, perciò, che fa molto inquietare, anche lo spettatore meno afferrato nelle ‘cose’ di cinema (perché dal punto di vista della tecnica cinematografica è assolutamente impeccabile, anzi…), vista la moda di molti registi di paesi, ex grandi potenze coloniali che, anziché raccontare della condizione degli stranieri nei propri paesi, preferiscono loro stessi andare direttamente a riprendere ciò che accade, nelle favelas indiane, in questo caso.
The millionaire non funziona perché è eccessivamente pretestuoso: vuol coniugare i troppi e diversi registri, dalla favola del protagonista al plot, eccessivamente sentimentale, del finale, passando anche dall’infanzia tragica dei bambini delle favelas indiane e la spietatezza di coloro che li sfruttano. Tuttavia, impeccabile, come sempre la fotografia di Anthony Dod Mantle e il montaggio di Chris Dickens, che insieme all’accurata ricerca musicale (Rahman), e nonostante la sceneggiatura risulti un ‘melting pot’, rendono il film almeno sopportabile, tenendo conto della durata anche eccessiva, tant’è che, durante i titoli di coda, ancorché il film continua, gli spettatori lasciano le sedie che ardono. A differenza di chi,invece, dopo già un’ora ha compreso bene che per film come questi non val la pena uscire di casa. Specie in questi giorni di freddo. Purchè non li si passi dinanzi al piccolo schermo, tanto meno in compagnia di Gerry Scotti. Altrimenti, è meglio andare a vedere The millionaire al cinema.
Giancarlo Visitilli
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