Regia di Kinji Fukasaku vedi scheda film
Un morto in guerra cancellato dalla burocrazia permane, invece, come un ricordo vivo e palpitante nel cuore della vedova. Il film sviluppa, con drammaticità a tratti lacerante, il tema del passato, che, più che sulla carta intestata, si imprime nell'anima segnata dal dolore. La ricostruzione della memoria si avvale delle tecniche del monologo, del flashback e delle foto di repertorio, accompagnate dalle date degli eventi bellici e dalla tragica contabilità delle vittime. Ne risulta un quadro della verità certamente crudo, ma multiforme e sfuggente, filtrato in vario modo dalle singole esperienze individuali. L'immagine dello scomparso sergente Tagoshi è, nelle menti dei suoi commilitoni sopravvissuti all'inferno della Nuova Guinea, una sorta di suggello in carne ed ossa, a volte edificante, a volte degradante, di un "prima" in cui è rimasta relegata per sempre la loro umanità di un tempo, e, con essa, quell'integrità psicologica e morale che l'orrore ha irrimediabilmente compromesso. Il più pesante lascito del trauma è, per tutti, una nuova consapevolezza, purtroppo incrinata dal dubbio, al quale gli uomini rispondono chi con la fuga, chi con lo scetticismo, chi con il rifiuto, chi con la rassegnazione, chi con l'oblio. Un film introspettivo, il cui messaggio esistenziale viene infine letto in chiave antimilitarista: l'immane tragedia della guerra travolge i destini personali, mentre la storia e la ragion di stato la riducono ad una voce nell'archivio, alla quale, all'occasione, la retorica politica può liberamente attingere.
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