Regia di Michele Soavi vedi scheda film
Il film di Soavi non c'entra niente, almeno come trama, con il celeberrimo libro di Pansa (così mi ha detto la mia mamma, che l'ha letto). Però mi sembra che fallisca innanzitutto nel dimostrare il concetto riassunto nel titolo, e cioè che il sangue dei vinti sia sostanzialmente uguale a quello dei vincitori. I vinti, infatti, abbracciano una causa sbagliata per non si capisce quale motivo (l'onore della patria l'hanno difeso molto di più e molto meglio coloro che stavano dall'altra parte). Lucia, poi, lo fa per una causa abbastanza idiota: la morte dello sposino sotto un mitragliamento degli Alleati. E lungi dal lottare per qualcosa di davvero onorevole, anche quando tutto è perduto si trasforma in inutile e vigliacca cecchina, tanto da uccidere il fratello partigiano. Sono da benedire, in questo senso, le parole pronunciate sabato 8 ottobre 2011 alla trasmissione Che tempo che fa dal giornalista/scrittore Aldo Cazzullo: «quelli che oggi sono definiti i vinti allora erano i vincitori; avevano il coltello dalla parte del manico, ammazzavano e torturavano». E qui potrebbe bastare, senonché Soavi ci aggiunge del suo, con una regia simil martinelliana che, nel personaggio di Placido (il quale dal '45 agli anni Settanta cambia solo la tintura dei capelli), sfiora il ridicolo. Salverei la scena della sparatoria nella villa di campagna, dalla quale scampa Lucia. La recitazione lascia spesso a desiderare, ma credo che la colpa sia di una sceneggiatura sconclusionata, nella quale gli interpreti sembrano non credere granché.
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