Regia di Vicente Amorim vedi scheda film
Film che sguazza soavemente tra le icone, tra i proclami, tra i cliché, proponendo, del nazismo, una versione romanzesca da telenovela. L’ambientazione esibisce quella tipica forma di artificiosità che nasce dal perfetto compromesso tra sontuosità e stilizzazione, tra realismo e simbolismo. In questo teatro dei manichini, una complessa porzione di Storia viene servita come un pasticcino cellofanato, di cui si intuisce, per sentito dire, il gusto, ma di cui è impossibile cogliere l’odore. La ciliegina del dilemma preconfezionato (il protagonista è un ufficiale delle SS amico e paziente di uno psicanalista ebreo) campeggia in mezzo allo zucchero a velo di un didascalismo quasi surreale (la sceneggiatura scartabella con la leggerezza del racconto scolastico la classica antologia ideologica ariana, dal mito della virilità a quello della Herrenrasse). Il tema dell’eutanasia - cui spetterebbe, in teoria, il ruolo centrale nella trama – è solo accennato, come per paura di oltrepassare la delicata soglia del politically correct. In definitiva, questo film ha l’ambizione di dire (nulla che non sia già stradetto), ma il timore di ferire (la suscettibilità del cosiddetto spettatore medio), e risulta così un prodotto artisticamente col braccino corto, di cui sfugge, oltre al valore storico ed estetico, il reale significato come opera di intrattenimento o comunicazione.
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