Regia di Stephan Elliott vedi scheda film
Produzione anglo-canadese: chi l'avrebbe mai immaginato che sarebbe stato un film british che prendeva in giro l'ironia british? Figlio di un'idea che facesse un confronto fra snobismo inglese e vivacità americana, la commedia di Stephan Elliott è un'adorabile e divertente satira sulle certezze della famiglia, dell'amore e della ricchezza, intelligentemente demolite senza alcun tipo di atteggiamento conformistico. Infatti, con un umorismo che è un ibrido fra slapstick americano e raffinatezza tutta anglofila, la pellicola riesce a strappare più di una risata, come ampliando il simpatico Quel mostro di suocera ma rendendolo Quel mostro di famiglia con: una madre orgogliosa (un'elegante K.S.Thomas), due sorelle pettegole e un figlio (neo-sposo di un'aitante amatrice americana [J. Biel]) che non sa cos'è l'amore. Il tutto condito da un brillante Colin Firth nei panni di un vecchio soldato, oltre che marito della madre orgogliosa.
Realizzato il quadretto, a Elliott viene facile proseguire con la narrazione, che segue, da un lato, le tipiche commedie americane, ma che si fa, dall'altro, influenzare dall'imprevedibilità di certe commedie inglesi, grazie a una graffiante sceneggiatura, fino a un finale magari prevedibile, ma coraggioso, in cui nessuno dei personaggi giunge a una qualche presa di coscienza, né i valori di famiglia, amore e ricchezza vengono ristabili e risanati. E' infatti un film più eversivo di quello che sembra, un'operetta comica capace di coinvolgere qualunque tipo di spettatore e di parteggiare per una protagonista dall'oscuro passato (il finale darebbe una conclusione confortante, ma certo qualche scheletro nell'armadio la giovane protagonista lo mantiene). Così il risultato è un divertissement poco volgare, ricco di trovate e con qualche caduta nella disposizione di certe gag (la morte accidentale del chihuahua, per quanto divertente, è un neo per banalità). Un gioiellino da non farsi scappare, che la dice lunga sull'emancipazione femminile e sui rapporti anglo-americani, che nel primo Dopoguerra descritto dal film certo non si concludono in un utopistico lieto fine.
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