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Lolita

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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Utente rimosso (pithecusano)

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La recensione su Lolita

di Utente rimosso (pithecusano)
6 stelle

I personaggi, le situazioni, gli inghippi, sono tagliati con l’accetta e rifiniti con la motosega con la barra del 28. Ho già zie prozie e cuginame che ha fatto di più, di più vario e avvincente, e mentre che lo faceva la Sorte e l’Umanità hanno provveduto ad allestire vicende ben meno elementari di quelle che ci propina il regista. Ora, si dirà, e a ragione, che i personaggi, le situazioni, i dialoghi, la fotografia e quant’altro sono resi con dottissima dovizia di particolari, riferimenti, sottintesi, e arzigogoli significanti tutto e quant’altro ovvero niente. E se vi piace l’architettura barocca, e la cura con cui sono realizzati certi mostri sulle facciate delle cattedrali, la cosa vi aggraderà di certo. Pure gli attori sono bravissimi nel rendere l’idea, mentre la storia si svolge monocorde, morbosa, ossessiva e ossessionante. Come la mente del protagonosta, direte voi. Può darsi, ma a me che me ne cale? Perché devo continuare a sorbirmi le solfe intrise di puritano senso di colpa e compiaciuta accondiscendenza delle fobie americane? Per di più rese con un assolutismo ed una monoliticità sconosciuta alle invece svariate e variopinte bizzarrie della sorte? Non c’è distacco, ma non c’è compiacimento. Non c’è scandalo, e ora non mi venite a dire che nel ’62 queste cose facevano scalpore dunque il genio è tutto lì, perché ‘ste storie esistono dalla notte dei tempi, ed Elettra non è solo il nome di una Harley Davidson. Non c’è passione, non c’è eros se non per 20 secondi, non ci sono colpi di scena perché si inizia con la fine. E non è per farci un flash back, ma ad inserire l’espediente della voce narrante, scorciatoia efficace ma pedante. La scena del montaggio della branda con cliché da film muto, non si capisce se vuole essere comica,  ma lo è come una barzelletta di Pierino raccontata da Paolo VI (buonanima). Su un tema simile American Beauty è infinitamente più pregnante, coinvolgente, esaustivo. Non mi si venga a dire che è diqualche decennio dopo, perché Wilder sapeva già essere caustico e imprevedibile da ben prima del ’62. La recitazione, veramente sopra la media, salva questa aria su una sola corda per orsi solitari in fuga dalla cultura e alla ricerca di Ambra Angiolini, che invece a sua volta cerca i lustrini dello spettacolo… Già, ecco un merito del film: aver previsto le veline. Ma non che il crimine (e il puttanizio) non riceve invece alcuna punizione, né umana né divina. Voto 5

Sulla trama

Un uomo maturo e colto, al tempo che gli uomini colti potevano campare di ciò benché già maturi, si innamora di una ragazzina. così, a prima vista. O forse non se ne innamora, gli basterebbe portarla a letto, e nei 150 minuti che seguono non si capisce se ci riesce o no. Quel che è subito chiaro, e se non vi fosse chiaro ci pensa ilr egista a renderlo, la ragazzina non se lo fila per niente ma se la fa con un altro, pure quello parecchio più grande di lei. La storia l’ha scritta Nabokov, che l’ha pure sceneggiata, perciò dobbiamo credere che il film non la snaturi più di tanto. Nabokov, però, non è Tenensse Willams né Truman Capote. Neppure Dostoevskij, ma nemmeno da lontano lontano. Questo è quanto. Ora tu c’hai un’idea sentita e risentita, e allora puoi fare come quel signore vestito di bianco che avvelenava i suoi nemici insieme al figlio, e che di mestiere faceva il Papa, e chiami Michelangelo a fartela pittare sul solaio del salotto di casa, e Michelangelo ti fa la Sistina. Oppure chiami Kubrick a farci un film. E lì sono fatti tuoi. Perché neppure Kubrick è Michelangelo, nemmeno Caravaggio e neppure Charlie Chaplin. Ma nemmeno da lontano lontano.

Su Stanley Kubrick

Si è detto chi non era l’autore del “fatto”, e qui non si fa torto a nessuno: Kubrick non è Wilder, non ne ha la cattiveria e la sitesi lucida. Non ha il tocco di Hitchcock che ti fa stare in suspence solo con un fotogramma, anzi, qui ti spiattella subito “L’ASSASSINO E’ IL MAGGIORDOMO”. Non ha il rigore e il genio di Welles, sa essere ben più pesante e ripetitivo ma non va a parare da nessuna parte. Non ha il senso dell’epopea di Ford, né della Storia di Eisenstein, né della Vita di Rossellini e De Sica. Se cerca di far ridere con cose serie, pensi a Chaplin e scoppi in lacrime. Non ha il genio di Gilliam, non ha nemmeno mai saputo fare poesia con un blockbuster come Spielberg, ed E.T. lo avrebbe fatto volare in doppiopetto in First Class tra una schiera di puttini dorati al suono della Cavalcata delle Walkirie. Rispetto ai Lumiere, che ve lo dico a fare, quel treno non si sa più dove l’ha fatto arrivare e perché e chi ci potrà mai più scendere. Con calma, e senza troppo ricorrere al principio di identità, qualcuno mi spiegherà che ci sta a fare, a furor di popolo, tra i Maestri del Cinema. Io, che grazie a quello splendido artifizio moderno che si chiama videoregistrazione domestica posso scegliere tra vedermi Welles, Ford, Eisenstein, Rossellini, De Sica, Chaplin, Eastwood, e persino Spielberg, “Gli Aristogatti” e Zorro, ne ho oltre il necessario delle pedanterie dei saccenti che si mettono in cattedra per non spiegare nulla, solo le sfumature della propria pretesa e sontuosa saccenza su cose che, putroppoper loro, sono ben diverse da quanto pretendono di sapere. E non mi piacciono i mostri sulle facciate barocche, e nemmeno i rifacimenti americani del Partenone e di Fidia.

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