Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.”
È esattamene questo l’incipit dell’omonimo libro di Nabokov da cui Kubrick tra la sceneggiatura per uno di quei suoi film meno kubrickiani della sua filmografia, come si potrebbe dire di ogni pellicola girata nei primi anni della sua carriera, ma qualcosa comunque mi dice che ci sarebbe qualcuno pronto a dissentire su ciò che dico.
Centocinquantatre minuti di bianco e nero in cui James Mason (Humbert Humbert) e Sue Lyon (Lolita), tenuti sempre a bada dall’occhio vigile e invidioso di Shelley Winters (Charlotte Haze), Centocinquantatre minuti in cui dovrebbe accadere tutto e invece accade poco o niente. Per chi come me ha letto il romanzo di Nabokov non troverà nel film di Kubrick, per quanto in possesso di una sceneggiatura ben scritta, né la suspense ampiamente presente nelle pagine del romanzo, né tantomeno il disgusto per Humbert Humbert, che racconta con la normalità per niente comprensibile, del suo approccio e conseguente rapporto con una minorenne.
Il film di Kubrick sembra limitarsi a narrare i fatti senza il necessario coinvolgimento dello spettatore che resta annichilito da una narrazione lenta e priva di mordente in cui la buona recitazione degli attori e la già citata sceneggiatura lodevole non sono capaci di risollevare dal baratro della noia.
Pur utilizzando una sequenza degli eventi diversa da quella che si presenta nel romanzo, rendendo il racconto, almeno in parte più intrigante e meno prevedibile, per chi ovviamente non avesse ancora letto il romanzo, Kubrick infatti inizia proprio laddove il romanzo finisce, rimane fedele ad un tratto fondamentale: oscurare totalmente le scene di sesso, vuoi per aggirare la censura, vuoi per far comprendere che non serve mostrate ma basta lasciar intendere, proprio come accade anche nell’omonimo romanzo a cui la pellicola si ispira.
La consapevolezza che Nabokov abbia partecipato alla stesura della sceneggiatura, che in alcuni tratti resta comunque differente al romanzo (l’età della protagonista ad esempio si sposta avanti di un paio d’anni) ci non serve a rendere il film scritto migliore del suo romanzo, ma questo con i libri che diventano film accade praticamente (quasi) sempre ma quantomeno lascia invariata l’intenzione di un racconto qui ai limiti dello scabroso che riesce a superare la censura e arriva al lettore/spettatore quasi concettualmente inviolato, superando abilmente una censura allora alquanto rigida.
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