Regia di Gilles Béhat vedi scheda film
Poliziesco alla francese. Trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Hugues Pagan. Solido, ma non all'altezza del romanzo da cui è tratto. Ottimo Depardieu
Poliziotto disilluso e tormentato, dal grilletto facile, Mat è un incorruttibile "comandante" del reparto cerimoniale di Parigi e dirige la “Divisione 13 Notte” di una indefinita città francese. Gliene capitano di tutti i colori: cadaveri di giovani decapitate in incidenti d’auto e isterici rapinatori di farmacie. Un giorno riceve la telefonata di Franck, amico d’infanzia e collega, a capo della antinarcotici e malato di un cancro, che gli lascia pochi mesi di vita. Ci sarebbe un affare da un milione di euro, cioè l’intercettazione di un traffico di droga tra un diplomatico e una banda con forti agganci politici. Mat rifiuta e Franck agisce da solo, prende soldi e droga, ma ci rimette la vita, Mat come nella più classica delle storie poliziesche, mette a rischio la sua carriera ,con l’immancabile sospensione,rimedia qualche sonora bastonata e la sua vita è sempre a rischio, per provare a neutralizzare la più potente e ammanicata organizzazione criminale di Parigi. Tratto dal libro dello scrittore francese, ma nato in Algeria, Hugues Pagan, il film diretto da Gilles Behat,si potrebbe definire come un adattamento poliziesco al libro, tuttavia, ad onor del vero, i tanti lettori di questo geniale autore, potrebbero restare delusi. Il claustrofobico e crepuscolare universo di Pagan, costruito sostanzialmente attorno alla solitaria figura dell’eroe, non trova la sua dimensione, in questo lavoro cinematografico, anche se la prova di Depardieu è come sempre di alto livello. Di certo il romanzo è uno dei polar più classici, con le atmosfere notturne, le riflessioni esistenziali del protagonista-poliziotto, le sigarette rigorosamente senza filtro, fumate in sobborghi tetri e oscuri, con sottofondo di blues. Atmosfere che, è difficile trasporre sullo schermo, perché è la mente del poliziotto prima e oltre l'azione, la vera protagonista. Diamond 13 non si discosta minimante dai cliché del suo genere, il marciume dilagante, la "Femme fatale", temperature glaciali, spari a gò-gò ,energici corpo a corpo e quel malinconico senso di tragedia imminente, soprattutto interiore, che distingue il genere francese dal poliziesco americano, più adrenalinico e più ricco di effetti speciali. Il primo è fatto di testa, il secondo di muscoli. I fattori che connotano il genere cosiddetto “polar” sono i soliti: il senso della sconfitta e le passioni rinnegate, l’amarezza, o il deragliamento morale. La nascita di questo progetto, risalirebbe addirittura agli anni 90 ma, a causa di una sceneggiatura eccessivamente lunga, il regista ha incontrato difficoltà enormi nel trovare produttori e anche attori disposti a interpretare un personaggio difficile come quello del “Poliziotto senza macchie e senza paura” Poi grazie a Olivier Marchal lo script è stato rimaneggiato e Gérard Depardieu ha accettato di calarsi nei panni del protagonista, un piedipiatti sfiancato dalla professione, nauseato dalla corruzione e insanabilmente ferito negli affetti dalla rampante Calhoune alias Asia Argento. Girato nel Benelux tra Lussemburgo, Charleroi, Bruxelles, Bruges e Anversa il regista reinventa il territorio urbano, con un collage di frammenti di luoghi, che cosi perdono identità geografica. Tra incontri con donne disperate, come l’aspirante suicida Farida o colloqui con criminali sibilanti come serpenti, vedi Ladje, e con l’aiuto della collega amante di Frank o le complicità con l’onesta fotoreporter, la discesa nei gironi infernali suburbani di Mat, costa un bel po’ di vite umane e rastrella nel suo tortuoso percorso un bel numero di morti: le persone che non si sono piegate ai maneggi e ai compromessi delle alte sfere. In Diamond 13 legge non è sinonimo di giustizia, non lo è quasi mai, peraltro. La regia si mantiene lontano dai toni enfatici e dalla concitazione di stampo televisivo, Beat gira con mano fluida e avvolgente, carrellando lentamente negli interni e tenendo saldamente ferma la steadycam durante gli spostamenti di Mat negli esterni. Si affida a robuste prove attoriali, superlativa quella di Deapardieu e più che convincente quella di Asia Argento e trova il suo punto di forza nella sceneggiatura, sobria, laconica,ma incisiva e tagliente: “Per cadere non c’è bisogno di nessuno”, “Ricordo un tempo in cui i poliziotti somigliavano ai poliziotti e le canaglie alle canaglie”, “Una buona attesa vale sempre di più di un cattivo processo”. Il film del cineasta francese è un atto d’amore per il genere, dalla prima all’ultima sequenza.
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