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Diamond 13

Regia di Gilles Béhat vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Diamond 13

di Marcello del Campo
6 stelle

Leggo la scheda di FilmTv, è di una rozzezza assurda: “se non ti piace Diamond 13, recita pressappoco “ti meriti Baciami ancora”, con lo sprezzo che si somministra a chi non va pazzo per il neo-polar. Del resto, non c’è scelta nel diktat che riprende il vecchio anatema genitoriale “o ti mangi ‘sta minestra o ti butti dalla finestra”, tertium non datur. C’è qualcosa che suona come un’imposizione, ancora più saccente, considerando che la critica cinematografica, in questo caso, è prossima allo zdanovismo. Né è un caso insolito questa fibrillazione della redazione e di molti utenti a ogni uscita di ‘quel che resta del polar’, intendo les épaves di un cinema che un tempo seppe essere grande (Deray, Melville, Enrico, Deville, Tavernier, ecc.), accolto con le rituali convulsioni votive degli adepti del culto ad ogni costo, fosse anche un centone, come questo film di Gilles Béhat, un regista che, dopo alcune ‘prove’ di nessun conto, si è fatto le ossa in serial Tv di commissari e flic.

Ancora più inverecondo suona l’invito della scheda di FilmTv se si va a leggere il gradimento dello staff, che non ricordo fu granché entusiasta (a parte Gervasini cui consiglio di vedersi lui Baciami ancora). Qualcosa non quadra e una spiegazione c’è per questa osannante cricca che grida al miracolo del neo-(po)polar: si tratta di una questione di orfanezza; privati di grandi exploit (dopo James Ellroy c’è poco da dire), questa si inventa una prosecuzione del ‘genere’ da parte di scrittori francesi e pour cause di registi e erigono per quelli un monumento. Ma se Diamond 13 non ottenne il plauso del parterre des savants della redazione, c’è sempre la devozione dell’utente che stende lenzuola di preziosi ricami scritturali ad abundantiam per esplicare la materia della quale è fatto un film polar, trasformando in oro il metallo vile. Pura alchimia che reclama al cieco di vedere, dove è facile intuire quanto sia cieco a farsi cinema Diamond 13, un’opera di pura routine para-televisiva che poggia tutta sul décor, sull’appeal stanco e mortificato di un Depardieu all’ultimo stadio di una carriera di ouvrier du cinema, della presenza del pluridecorato Olivier Marchal (l’unico davvero ‘in parte’ – è un ex flic!) e di quella di Asja Argento, completamente ab-errante (povera Asja!) rispetto ai guizzi di luminose interpretazioni cui ci ha abituato. Il plot di Pagan non brilla di originalità alcuna, anche Fuqua ha fatto di meglio con Training Day o Joe Carnahan con Narc, per non citare L.A Confidential di Curtis Hanson che circa quindici anni fa, nonostante una certa piattezza di stile svelò, via Ellroy, i meccanismi delittuosi della polizia losangelina. Purtroppo Diamond 13 è gemello dell’ultimo film di Audiard (il suo peggiore), Un Prophéte, operazione filmica che almeno ha il merito di essere furbastra  e che ha ottenuto una sfilza di voti altissimi su FilmTv (del resto, il film beneficiò della Palma della Croisette, da sempre nazionalistica).  Ma qui è bene fermarsi, non inveire sul corpo morto del neo-polar, evitare di indicare di quanti ‘buchi’ sfori il plot del ‘diamante’, di come l’orrore celato in Seven di una testa mozzata si apra sin verguenza agli occhi dello spettatore per marcare, senza volerlo, la differenza tra la ‘scena’ e ‘l’osceno’.

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