Regia di Lili Brik, Vitaly Zhemchuznij vedi scheda film
Questa produzione sovietica è un variegato collage di pezzi di pellicola, per lo più tratti da cinegiornali, atti a dimostrare le potenzialità espressive raggiunte dal cinema alla fine degli anni venti. La rassegna si apre con un omaggio a quello che viene definito il “lontano passato”: i frammenti di vita catturati dalle prime macchine da presa vengono presentati come preziosi e romantici cimeli del tempo che fu. Ed è subito intrigante scoprire che, a poco più di tre decenni dall’invenzione dei fratelli Lumière, nel mondo del cinema già comincia a potersi assaporare il fascino dell’antico, nei fotogrammi della Belle Époque, così diversi rispetto ai filmati girati nelle città moderne, piene della velocità dei mezzi di trasporto e delle meccaniche geometrie delle installazioni industriali. Nel frattempo, la settima arte si è, in buona parte, sostituita alla letteratura nell’alimentare i sogni e le emozioni, data la sua illimitata possibilità di viaggiare in ogni angolo del globo, riportando con sé le vive suggestioni dell’esotismo e dell’avventura in terre lontane. La sua capacità di seguire il movimento istante per istante rende il cinema il complice ideale dello sport, di cui sa fedelmente restituire la grazia e il brivido, grazie anche alle riprese aeree, subacquee e all’uso del rallentatore. L’“occhio di vetro”, protagonista di questo particolarissimo documentario, fa volare lo sguardo dalla cima della Tour Eiffel agli abissi marini, dai branchi di scimmie africane ai microscopici plasmodi. E, intanto, scava a fondo, anche crudelmente, nella vita dell’uomo, riprendendo il bisturi di un chirurgo che opera uno stomaco o il soldato invasore che depreda una casa. Quest’opera si chiude con un inno al cinema didascalico e di regime, contro quello che viene considerato “piccante e d’evasione”, e che verrebbe realizzato dalla borghesia decadente, con frivoli stratagemmi drammatici e ridicoli trucchi scenici. A dire il vero, la caricatura dell’intrattenimento finisce per essere, agli occhi di un cinefilo contemporaneo, più che altro un’esaltazione della forza travolgente con cui il cinema muto riusciva a rappresentare i moti dell’animo primordiali, come l’amore e la paura. La qualità tecnica è nella media, ma dietro questa antologia di immagini, pazientemente raccolte girando la manovella di un cassone montato su un treppiede, si percepisce il battito di una passione che non può non commuovere.
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