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La locanda della sesta felicità

Regia di Mark Robson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La locanda della sesta felicità

di ethan
5 stelle

'La locanda della sesta felicità', diretto da Mark Robson nel 1958 con mano non certo felicissima (la candidatura all'Oscar come regista è immeritata, al contrario di quella dell'anno prima per il bel mélo 'I peccatori di Peyton') è un tipico esempio di come Hollywood, sia in passato sia ora, soprattutto per la trasposizione di fatti o per persone realmente esistiti, tenda ad abbellire le vicende per fini squisitamente commerciali.

Il film narra le 'gesta' eroiche della missionaria inglese Gladys Aylward che, trasferitasi in Cina per vocazione religiosa e per amore nei confronti del prossimo, dopo varie attività umanitarie e battaglie a favore dell'emancipazione delle donne in Oriente, riuscirà a portare in salvo un gruppo di bambini che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, ovvero nel bel mezzo di un conflitto cino-nipponico alla vigilia della seconda guerra mondiale.

Robson, poco aiutato da uno script lacunoso e poco veritiero di Isobel Lennart, tratto dal romanzo di Alan Burgess 'The Small Woman', ne cava fuori un'opera dalla pesantezza pachidermica in cui, nelle prime due (interminabili) ore vengono descritti i rapporti tra la coraggiosa donna e gli indigeni, usi e costumi compresi, e tutti i problemi a cui deve far fronte, con addirittura una (fintissima) relazione tra lei e un diplomatico cinese (ma di origini europee!), si trascina in interminabili sequenze malamente collegate fra di loro, per rifarsi parzialmente nel capitolo della rocambolesca fuga verso la salvezza, narrata finalmente con piglio più deciso e una buona dose di tensione narrativa.

Come aggravante dell'operazione c'è però la scelta di Ingrid Bergman nel ruolo di protagonista: si tratta forse di uno dei più grossolani errori di miscasting che si ricordi, poiché la vera Aylward, bruttina, scura di capelli, grassoccia e bassa di statura, era quanto di più distante ci possa essere dalla statuaria ed algida bellezza di cui era dotata l'attrice svedese; la Bergman, reduce dai tormentati personaggi rosselliniani e dal secondo Oscar per 'Anastasia', si impegna a fondo e offre come al solito una grande performance recitativa ma è troppo poco credibile nella parte. Per dare un'idea, sarebbe come far interpretare Madre Teresa di Calcutta da, non so, una a caso, Sandra Bullock!

La stessa Aylward ritenne insultante la descrizione di lei nel film, specie per l'inserto dell'affair inventato di sana pianta, e ne aveva ben donde.

Buoni i costumi (Margaret Furse) e ottima la ricostruzione negli Studios e in esterni in Galles di John Box e Geoffrey Drake

Voto: 5 (visto in italiano e v.o.).

 

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