Regia di Morgan Spurlock vedi scheda film
"Che fine ha fatto Osama Bin Laden?" è la domanda seria da cui Spurlock parte per costruire uno strambo percorso di sfida a un sistema di vita i cui punti critici sono tanto più facilmente smascherabili quanto più sono bislacche le provocazione di un buffone malizioso ed arruffone: in “Super Size Me” del 2005 si trattava di sperimentare sul campo l'alimentazione dei fast food, qui invece l'oggetto dell'inchiesta è molto più vasto e tocca questioni di geopolitica non facilmente riconducibili a schemi o a teorie preconcette. La strampalata prospettiva con cui il documentarista affronta l’aspro cimento è già in sé una contestazione dell’analisi storico-critica con cui mass media e politologi affrontano la questione: Bin Laden è la reginetta in un balletto di sosia e il suo nome è nell’elenco telefonico. Il suo punto di vista è allora il buon senso e il sense of humour dell’uomo della strada che mettendo al mondo un figlio da proteggere dai pericoli, individua il male nel nemico per antonomasia del suo Paese; convinto dal cinema hollywoodiano che una persona da sola possa sconfiggere il principe dei malvagi si mette in viaggio e se lo va a cercare nell’area mediorientale più esposta ai rischi dell’intero pianeta, mettendo in scena un’allegra parodia dei film di James Bond in cui l’eroe sopprime l’avversario prima dei titoli di coda. Tuttavia molto prima dei titoli di coda Spurlock tocca con mano la verità, a dir vero abbastanza ovvia, che in Egitto, Marocco, Israele, Palestina, Afghanistan e Pakistan, luoghi dove dovrebbe nascondersi Bin Laden, la gente è esattamente come lui: padri e madri di famiglia desiderosi di assicurare alla prole benessere e pace. E a questo punto, quando di passaggio vengono sfiorati i nodi irrisolti, che alimentano il terrorismo, la bizzarra odissea nelle zone calde del pianeta perde la sua verve nella semplicistica constatazione che la cattura e la morte dell'inafferrabile capo di AL Queeda non cambierebbe niente. “Che fine ha fatto Osama Bin Laden’” insomma non sbanda, va esattamente dove la dimostrazione di una tesa precostituita lo conduce, ovvero alla radicale messa in discussione della politica estera statunitense e del sistema economico iniquo dell’Occidente, cui i molti testimoni intervistati attribuiscono le vere cause del male. Teoria nota e per altro esposta con ben altri strumenti in ben più incisivi reportage: la satira ha il fiato corto quando pretende di raddrizzare il mondo ma non dà gli occhiali deformanti per vederlo storto. http://spettatore.ilcannocchiale.it
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