Regia di Mabrouk El Mechri vedi scheda film
Van Damme entra in scena. Con un riuscito piano sequenza lo seguiamo mentre, tra fumo, fuoco e pallottole, fa fuori legioni di nemici. Però la scenografia del set (probabilmente in Bulgaria, dove la maggior parte dei film Direct To Video viene girata per ragioni economiche) crolla al suolo, tanto che la scena è da rifare. mentre il regista - un anonimo "shooter" asiatico evidentemente svogliato - tratta con sufficienza "il nostro eroe" ("Crede di essere sul set di Quarto Potere" bofonchia verso Van Damme). Inizia così, "JCVD", curiosa ma interessante ibridazione tra cinema e realtà (o come viene definito: "metacinema") sulla parabola personale e professionale di uno dei più amati e conosciuti attori di film d'azione e d'arti marziali tra la fine degli anni '80 e gli anni '90. Van Damme torna in Belgio, nella sua cittadina natale e viene preso in ostaggio, da alcuni rapinatori, all'interno di un ufficio postale (con la polizia locale che crede che lui stesso guidi la rapina): questa situazione di stallo e tensione metterà in luce non l'eroe che tutti conosciamo, con i muscoli tirati a lucido e le arti marziali pronte all'uso, ma un uomo che, prima di tutto, deve fare i conti con se stesso e con il suo fallimento, sia come marito e genitore, sia come artista. Anche se ancora conosciuto e ben voluto dal pubblico: uno dei rapinatori, per esempio, è suo fan e gli chiede, in una sequenza grottesca, di insegnargli i suoi celebri calci volanti (mentre l'altro rapinatore lo detesta cordialmente). Insomma, questo "pomeriggio di un giorno da cani" mette a nudo il Van Damme-uomo, il quale, nel sentito e commovente monologo a tre quarti di film, con onestà racconta se stesso rivolto direttamente agli spettatori. "Muscoletti di Bruxelles" (come qualcuno sarcasticamente, a suo tempo, lo ribattezzò) rappresenta il "classico" esempio di sportivo esperto in arti marziali prestato con successo al cinema già alla fine degli anni '80; gli anni '90 sono stati forse il decennio di maggior fortuna per l'attore belga, il quale ha avuto il merito di essere stato tra i primi a sdoganare i registi di Hong Kong a Hollywood, tra cui John Woo (tramite uno dei suoi film più riusciti di quel periodo: "Hard Target"), Ringo Lam e Tsui Hark. Tra l'altro, nel film c'è proprio un'esilerante battuta, pronunciata dal rapinatore-fan, nei confronto del regista di "A Better Tomorrow" e "Face/Off" ("Se non fosse stato per te Jean Claude, Woo starebbe ancora ad Hong Kong a filmare le sue colombe"). Poi, nel corso deglia nni 2000, vuoi per un talento artistico non eccelso che non gli ha permesso di rinnovarsi, vuoi per scelte sbagliate nel privato (l'uso di sostanze stupefacenti, i matrimoni falliti), Van Damme si è progressivamente perso nel sottobosco della serie B: i cosiddetti film DTV (i già citati Direct To Video, appunto), realizzati con budget bassi da registi senza nè arte nè parte e di qualità discutibile (un percorso simile è toccato anche ad un altro esponente del genere action-marziale: Steven Seagal). Ascesa e caduta (entrambe rapide) di una star. Eppure Van Damme, mai come in questo caso, lontano dai suoi soliti clichè, lontano dai suoi calci volanti, è stato così convincente e sentito nella sua interpretazione. Anche se l'attore è tornato nuovamente alle sue abituali frequentazioni nei DTV (Van Damme "resta ancora a galla" grazie all'ormai infinita saga sugli "Universal Soldiers"). Anche il regista Mabrouk El Mechri, che aveva piacevolmente sorpreso con questa sua prova, in seguito ha girato un thriller anonimo, sia nella trama che nello stile registico: "La Fredda Luce Del Giorno". Ripeto, è un peccato che "JCVD" non sia stato un trampolino per il rilancio di Van Damme, soprattutto per chi, in quegli anni, è cresciuto anche con il suo cinema d'azione ed i suoi personaggi tosti. Ma forse, in questo caso, a parlare è solo l'effetto nostalgia.
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