Regia di Philippe Claudel vedi scheda film
Due sorelle si ritrovano dopo quindici anni: a poco a poco, un pezzo per volta, ci viene spiegato perché sono state separate tanto a lungo e perché la maggiore è così fredda e distante. Non è, banalmente, la storia del reinserimento di un detenuto nella società: è piuttosto la storia di una donna spiritualmente morta costretta a rientrare in una vita da cui era stata espulsa, che è andata avanti senza di lei e in cui si sente un’estranea. Quasi tutto il film è percorso da una tensione sottile ma continua (tensione che si placa solo nella scena in cui lei dice la verità a una cena fra amici e tutti ridono, credendo a uno scherzo), mentre lo spettatore passa dalla domanda “cosa ha fatto?” a quella, ancora più terribile, “perché l’ha fatto?”. Le ferite cominciano a rimarginarsi grazie al contatto con le sofferenze altrui: la sorella che non ha voluto avere bambini, la madre che ha perso la memoria, il vecchio incapace di parlare per un oscuro trauma, il poliziotto malinconico che sogna di visitare l’Orinoco e finisce per spararsi in bocca, il professore vedovo che ha insegnato in un carcere. Kristin Scott Thomas fornisce un’ottima interpretazione in un ruolo spiazzante e sgradevole: perciò avrebbe meritato un finale diverso, che non dissipasse del tutto le ombre gravanti sul suo personaggio e non lo avviasse verso la normalizzazione borghese che si indovina al di là dell’ultima scena.
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