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Ti amerò sempre

Regia di Philippe Claudel vedi scheda film

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La recensione su Ti amerò sempre

di giancarlo visitilli
8 stelle

Il cinema francese. Quante volte fa rivivere di gioia, ovunque si trovino, i fratelli Lumiere, evidentemente non vissuti invano. Il cinema francese ha tanti nomi di registi da vantare, adesso un altro se n’è aggiunto, quello di Philippe Claudel, scrittore rinomato che già con “Anime grigie”, “La nipote del signor Lihn” e “Il rapporto” ha lasciato un segno importante nell’ambito letterario. Ma trattasi di una persona eccezionale in tutto: appassionato di pittura, ha una notevole esperienza come insegnante di arte nelle carceri, lavoro che ha condotto per una decina d’anni, oltre che in ospedale, e in un istituto, a bambini malati e con handicap fisici. Ora ci prova a dirlo con il cinema, quello che pensa, con questa sua formidabile opera prima, già candidata ai Golden Globes, in lizza per i Bafta inglesi e cinque Cesar francesi.
Il riscatto da una vita di tormenti e di impossibilità di accessi sono al centro del film, che vede protagoniste due sorelle: Juliette, reduce da 15 anni di carcere, e la minore, Léa, che la accoglie a Nancy, nella casa dove vive con il marito Luc, le due figlie adottive e il suocero. Juliette è finita in prigione per l'assassinio del figlio, abbandonata dal marito, orfana della parola e della socialità, ineluttabilmente. Perciò fatica a ritrovare il suo posto nel mondo. Anche per l’altra sorella non sarà facile contare i giorni, appuntarseli, sulle pagine di una vita propria e altrui, fatta di privazioni e prigioni. Un destino che accomuna le due sorelle, mediante i silenzi, le lacrime, e naturalmente, il dolore. Qui la vita e la morte sono sotto la lente d’ingrandimento di uno scrittore e regista, capace di non mostrare, a tutti i costi, il suo punto di vista, specie su scelte fondamentali: la vita o l’eutanasia? Le risposte sono rintracciabili nella stessa Letteratura: da “Delitto e castigo”, ma benissimo si potrebbe pensare alla “grande assente” del film come a l’”Esclusa” di Pirandello. Tutto si fa rarefatto nel film, a cominciare dai dialoghi, piuttosto abbondanti i silenzi, voluti, perché densi di parole e significato. Anche le nuotate in piscina diventano immersioni nella memoria, allo stesso modo della contemplazione di un’opera d’arte che descrive bene il vissuto delle donne, “Il dolore”, ha la funzione di introspettare l’analisi psicologica delle due protagoniste e imprigionare attori e spettatori nella prigione della morte di un personaggio, la cui assenza, dall’inizio alla fine del film, è fortemente presente e viva. Magnifiche le due attrici, Kristin Scott Thomas ed Elsa Zylberstein, la cui densità di sguardi e silenzi riescono ad urlare fortemente quel grido di dolore. Rimasto aggrappato in gola per sempre. Come la presenza di un amore che non si vorrebbe mai finito.
Giancarlo Visitilli

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