Regia di Fernando Di Leo vedi scheda film
Pochi secondi e già un sussulto: che ci fa qui la colonna sonora di Milano calibro 9, l'indimenticabile, gloriosa, trionfale Osanna di Bacalov? Di Leo mette in piedi un film talmente povero di mezzi che si ritrova costretto a riciclare vecchi temi di altri film: ad un certo punto parte perfino quello de La vittima designata (Maurizio Lucidi, 1971), sempre di Bacalov. Al di là del budget striminzito, però, quel che funziona - come quasi sempre in Di Leo - è l'atmosfera da thriller nero, claustrofobica fra le pareti di una casupola abbandonata ed angosciosa nella riproposizione del rapporto rapitore-rapito (o carnefice-vittima che dir si voglia) che sta al centro di tutto il film. Purtroppo le pecche della produzione sono evidenti anche nelle scelte di casting: il modello Joe Dallesandro, favorito di Warhol e già mediocre interprete per Margheriti, Squitieri e perfino Malle (!), Patricia Behn, Gianni Macchia e Lorraine De Selle formano il quartetto di protagonisti, fra anonimato e dilettantismo attoriale. Alla luce di questi gravi difetti è difficile valutare positivamente un film dalla costruzione compatta e dalla tensione sempre alta (probabilmente anzi uno dei migliori per Di Leo, da questo punto di vista); sceneggiatura del regista da un soggetto di Mario Gariazzo, qualche nudo e scene di violenza e sangue, ma tutto giustificato nella logica della storia. Interessante anche lo sviluppo psicologico dei rapporti fra i tre abitanti della casa e fra i tre ed il bandito. 4,5/10.
Un rapinatore ed assassino, appena evaso, va a recuperare i 300 milioni che aveva nascosto in una casa di campagna. Nel frattempo però tre persone si sono stabilite proprio in quella casa: il delinquente si trova costretto ad usare violenza su di loro.
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