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Boston Streets

Regia di Brian Goodman vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Boston Streets

di Marcello del Campo
8 stelle

 
Brian Goodman, - attore di comparsate in vari serial (Csi, Lost, Criminal Mind, NYPD, ecc), particine in Munich, Prova a prendermi di Spielberg, In Dreams di Neil Jordan, faccia da duro alla Brendan Gleeson ma meno grasso -, esordisce dopo anni di gavetta con questo piccolo film che va ad arricchire la lista delle opere “invisibili”, salvo che qualche piccola saggia casa distributrice non si prodighi a farlo uscire, magari come sorpresa estiva, com’è accaduto qualche anno fa con In Bruges, Caccia spietata, Redbelt, Edmond.
Questo film indie ha tutte le carte in regola per piacere ed è molto più appetibile dei blockbuster che sono sulla bocca di tutti o di certi film made in Italy che sono sopravvalutati per tenere alta la bandiera a mezz’asta dei melanconici prodotti autoctoni. 
What Doesn’t Kill You è un crime-movie elegiaco che sorprende e si lascia ammirare per il passo leggero, quasi minimale con cui Goodman, - che si ritaglia la parte del duro Pat Kelly - narra una vicenda veramente accaduta (come ci informa una nota preliminare) in una Boston tante volte raccontata ma qui inedita, poiché non siamo nei quartieri alti ma in sobborghi poveri dove menano vita difficile personaggi border-line, sottratti al lavoro e consegnati al traffico a delinquere.
In questo paesaggio “disoccupato”, si intrecciano le vite dei singoli tra sofferenza e resistenza alla caduta nella follia, nella droga, nella strada per l’inferno.
Tra i bornloser Brian Reilly e Paulie McDoughan c’è un’amicizia stretta, iniziata quando erano ragazzini, che non conosce la slealtà. Entrambi percorrono una carriera di piccoli criminali senza mai tradirsi l’un l’altro. Indotti in ruberie e frodi dal loro capo spirituale Pat, tra intrighi di gang sgangherate e frequenti detenzioni nelle carceri, ciascuno a suo modo, cercheranno una via d’uscita da una vita da cani rabbiosi che hanno ereditato come destino.
Tra rinascite provvisorie e ricadute nel crimine, tra reiterazione del rischio e ascesa alla redenzione, entrambi troveranno una soluzione (in cattività o in adattamento all’esistenza) in un mondo nel quale è sempre più difficile vivere. 
Goodman è un regista che convince, il suo è un cinema classico che a me ha ricordato le peregrinazioni di Little Odessa o Zona di Guerra e la poesia di Assassinio di un allibratore cinese.
Un po’ troppo?, vi starete chiedendo, ma non basta: Ethan Hawke (Paulie), dopo le prove di maudit in Assault on Precint 13, Onora il padre e la madre, si smarca definitivamente dai ruoli da bravo ragazzo Before e After Sunset, ma è Mark Ruffalo, un attore che cresce ad ogni nuovo film che mi convince di più, in un ruolo che fa pensare a un personaggio dostoevskiano, una maschera la cui oscillazione tra tenerezza e iracondia è difficile dimenticare.
Bravi tutti gli altri interpreti, su tutti Amanda Peet e Will Lyman.
La musica di Buzzard Luck ammicca soavemente alla soundtrack di Fargo.
 
 
  
 

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