Regia di Otar Ioseliani vedi scheda film
Cerco in internet dove trovo dapprima su siti francesi quasi solo 4-5 righe di riassunto anonimo, spesso uguale fra i vari siti: la vita di cinque frati agostiniani (venuti dalla Francia? Hanno nomi francese e fra loro parlano – poco – in francese) in un monastero a Castelnuovo dell’Abate; i contadini faticano nei campi, per la raccolta delle olive e per la vendemmia, e a fare il vino, mangiando modesti e rapidi pasti nelle pause del lavoro, mentre i frati cantano e cantano, mangiano a mensa, fanno merenda, qualcuno va a bere al bar del paese; tutti sempre ben puliti nei loro sai bianchi che le donne del villaggio lavano e stirano.
Una scritta iniziale avverte che si tratta della vita di cinque frati agostiniani (di cui elenca i nomi) e aggiunge una citazione da S. Alfonso de Liguori, secondo cui “il faut travailler à nous sanctifier et à nous enrichir des seuls biens qui nous suivront dans l’éternité”. Mentre gli altri fanno tutti quei lavori che servono a far vivere bene i frati… Il contrasto mi pare evidente e voluto, ma non osservato dalla critica. A riprova che si tratta anche qui di un falso documentario, cito l’opinione opposta, ma assurda e inaccettabile, di Sophie Darmaillacq su Libération, citata sulla cassetta del film (la sept/video): “la spontanéité des personnages preuve qu’ils ont oublié la caméra de Iosseliani parce qu’il ne dérange ni n’abîme ceux qu’il filme”; e cita il salone di un notabile, un contadino che ravviva il fuoco e dorme e si rialza nella sua stanza, e addirittura un frate che confessa di aver trasgredito il vincolo del silenzio: ci vuole una bella ingenuità per credere che costoro abbiano dimenticato l’esistenza del regista e della sua troupe e non capire che invece proprio questi sono evidenti segni che si tratta di un falso documentario costruito.
“Diciamo ‘documentario’ per brevità, ma la definizione è inesatta: Iosseliani sostiene che nel cinema il documento non esiste, sullo schermo anche la fotografia della realtà diventa opera di fantasia” (Tullio Kezich La Repubblica 4.9.1988). “La loro tranquilla ritualità scandisce il racconto: il restauro dei manoscritti, la lettura delle Scritture, ma anche pasti buoni, il caffé in giardino, le passeggiate in campagna. Fuori dal monastero altri riti di serena quotidianità che si ripetono, quelli di un mondo contadino ricco, la cura del Brunello, la raccolta delle olive, la caccia al cinghiale, poi la domenica in piazza a fare come buoni borghesi un po' di salotto. Troppa armoniosità bucolica in questa campagna senese col suo intrecciarsi di sorrisi e risate, canti gregoriani e ballate popolari? Probabilmente sì, ed è lo stesso Iosseliani il primo ad ammetterlo” (Marzia Milanesi "Cineforum" n. 277, settembre 1988). Una volta tanto mi pare che la critica italiana sia stata più attenta di quella francese…
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta