Regia di Mark Herman vedi scheda film
Se un bambino non riesce a comprendere la guerra e i suoi orrori, sarà perché essi si collocano al di fuori della semplice logica del mondo: se un uomo può diventare un non-uomo e un amico tramutarsi in nemico, allora davvero non c’è modo di orientarsi. Quando poi, alle false verità di un’ideologia deviante si aggiungono le pietose bugie usate per mascherare l’atrocità dei crimini commessi, la mente razionale si protegge dalla follia opponendo un cieco rifiuto, oppure un’aperta ribellione. Nel primo caso, negare l’evidenza apre due strade alternative: la prima prevede di cancellare dalla vista il male insieme alle sue vittime, per non avere nulla di cui rimproverarsi, la seconda lo fa semplicemente sfocare sullo sfondo, per concentrare lo sguardo sulle persone in primo piano ed unirsi a loro in un abbraccio fraterno e coraggioso. Questa è la scelta del piccolo Bruno - figlio di un ufficiale delle SS chiamato a dirigere un campo di sterminio – che sfida tutti i divieti ed i dettami impartitigli nella casa paterna per aiutare un ragazzino ebreo detenuto nel lager. L’Untermensch del nazismo è per lui un compagno di giochi, uguale per età, passioni, gusti, con cui è facile e naturale condividere una partita a dama, qualche tiro con la palla, ed un panino preparato per merenda. Il piccolo Shmuel, verso cui un regime aberrante dirige il suo odio infondato e disumano, è invece, per Bruno, l’unico punto fermo, l’unica certezza affettiva in un ambiente in cui tutti gli adulti hanno uno strano modo di interpretare la felicità e “volere il suo bene”: la misteriosa “missione” del padre lo strappa alla sua elegante casa berlinese per trasferirlo in un austero caseggiato di campagna, circondato dal nulla e da schiere di militari, la sorella abbandona l’infantile passione per le bambole a favore di un adolescenziale fanatismo bellicista, e il cupo indottrinamento di un istitutore sostituisce le normali lezioni frequentate a scuola. La sua vita diventa improvvisamente una prigione, con pareti fatte di silenzi, violente minacce e oscure promesse, talmente opprimenti da fargli preferire il cielo aperto della strana “fattoria” di Shmuel ed il suo recinto di filo spinato. Contrariamente a quanto avviene ne La vita è bella, in cui il gioco è consapevolmente costruito da un adulto per distrarre un bambino da una terribile realtà, in questo film il gioco è la spontanea espressione di due esseri innocenti, che li consegna, malgrado loro, direttamente all’inferno scatenato in terra. Ne Il bambino con il pigiama a righe la tragedia segue, dolorosamente, la via della luce e della dolcezza, come una lama scintillante che si abbatta, crudamente, contro corpi fragili e dalla carne tenera.
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