Regia di Lav Diaz vedi scheda film
"E alla fine quello che ti ricordi sono solo nomi che svaniscono, ombre che appassiscono il mondo che ti lasci alle spalle." Taga Timog ---------
Si tratta di un film di finzione narrativa anche se la rappresentazione tende alla mimesi quasi totale con la realtà concreta. I fatti che si svolgono in questo film, volendo, potevano essere condensati in un lungometraggio dalla durata standard, intorno ai 120 minuti. Così facendo, però, avremmo perso tutte quelle sfumature nello sviluppo degli stati d'animo del protagonista e delle condizioni ambientali ad essi relative. Non avremmo avuto tutto il tempo di godere dell'immagine che è volutamente ricercata, sospesa come in attesa che qualcosa di trascendente si manifesti. Mi ha ricordato certa pittura realistica, ritratti della natura alla maniera dei macchiaioli, notti caravaggesche ma anche con qualcosa di rinnovato. Quest'aria carica di umidità e dense nebbie che mesolano e stingono le tinte e stendono un velo di malinconia. Eppure i mezzi sono modesti, non hollywoodiani, per intenderci. E' strano che per avere un occhio del genere sulle cose bisogna andare dall'altra parte del mondo. Ma loro conoscono bene l'arte nostrana. Siamo noi che avendola sotto mano finiamo per trascurla: la diamo per scontata. Nemmeno nel nostro cinema neorealista ho visto un tale sforzo di ricerca puramente estetica. Certo, occorre uno spirito buddista o, quanto meno, un senso non ancora occidentalizzato per apprezzare e, forse, concepire un'opera sulla condizione umana. Con cinismo si potrebbe definirla come l'odissea di un candide ma io preferisco interpretarla come la rappresentazione della perdita dell'autenticità e l'esperienza dell'apocalisse contemporanea. E' l'esserci dentro che non lo fà percepire con chiarezza. Il fastidio che producono opere del genere è sintomatico di un rifiuto di vedere la realtà nella sua verità. Non credo proprio che sia meno profondo di un film di Malik solo perché mancano i sermoni biblici. Le parole servono solo a riempire, coprire il vuoto, il nulla che i repressi, gli alienati sentono; sono consolatorie. In un'opera per immagini e suoni i dialoghi o i discorsi non dovrebbero avere un posto d'onore, non dovrebbero prevalere, ma concorre all'essenza come i colori, i rumori di fondo, come una scenografia o una musica. Prendiamo ad esempio il lungo piano sequenza in cui Heremias spia alcuni ragazzini che drogano e. Può sembrare estenuante ma, se accettiamo di stare al gioco con un atto di volontà consapevole, ci permette di entrare nello stato d'animo del protagonista - l'occhio è il suo ma anche il nostro - e anche di provare tutta una serie di sentimenti che vanno dalla riprovazione alla compassione, dall'orrore alla tristezza. Inoltre ci dà una cornice politica in cui inquadrare quelle azioni apparentemente immotivate, assolutamente irrazionali. La durata allora fa parte dell'essenza di questo film. Purtroppo il grande pubblico è abituato al ritmo di un consumo veloce delle immagini, funzionale all'attuale società automatizzata e, però, per strada, si perdono i pezzi dell'umanità. Meno male che c'è "Fuori Orario" a tiraci fuori da un'omologazione culturale altrimenti pervasiva, al di là delle idee politiche che uno può avere. Sapere che esiste un modo alternativo di vedere il mondo libera lo spirito, lo fà respirare ed evolvere.
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