Regia di Mikael Salomon vedi scheda film
Partiamo subito dal presupposto che stiamo parlando di un tipico prodotto televisivo, intendendo l’accezione più deteriore del termine, vale a dire regia piatta e didascalica, priva di slanci di qualsivoglia tipo, eccessiva dilatazione dei tempi con conseguente perdita della tensione ed una certa attenzione per il politically correct che rifugge ogni intenzione di analisi sui meccanismi dell’orrore. Detto questo mi sono trovata di fronte un prodotto che non è assolutamente da buttare ma che, al contrario, presenta piacevoli sorprese.
Innanzitutto va detto che il cast è davvero il punto di forza di questa trasposizione perché gli attori non si limitano ad offrirci interpretazioni al minimo sindacale (come spesso avviene in questi casi) ma cercano di creare dei personaggi a tutto tondo che restino impressi nella memoria dello spettatore. E va anche detto che dopo aver visto Rob Lowe(che sia bello, va detto, aiuta…) nel ruolo di Ben Mears mi riesce difficile immaginarlo con un’altra faccia o un’altra espressività. In più Lowe riesce ad infondere al personaggio dello scrittore una dolcezza ed una fragilità che nelle pagine di King sono solamente accennate, e spicca per completezza. E fa subito dimenticare l’interpretazione di David Soul in Le notti di Salem di Hooper che torna ad essere solo Kenneth Hutchinson, come è giusto che sia, del resto (perché da bambina lo adoravo e posso tornare a provare questa passione senza confonderlo con Ben Mears che -ora è appurato- è un’altra cosa).
E poi c’è l’interpretazione di James Cromwell che è un altro attore poco sfruttato ma che è sempre convincente in tutti i ruoli che gli vengono affidati (come non ricordarlo in Babe maialino coraggioso? Il suo personaggio, silenzioso per buona parte del film, è bellissimo). Il suo è un Padre Callahan ombroso e sfiduciato che riesce ad accendersi di passione solo quando capisce di avere ancora una missione da compiere. E anche se, alla fine, perderà la lotta con il Male ne uscirà vittorioso perché, come vampiro, troverà una nuova spinta per vivere, poco importa se è quella sbagliata.
Anche Rutger Hauer, con il suo sorriso sornione e gli occhi di ghiaccio, se la cava egregiamente anche se non riesce a dare nuovo spessore al personaggio di Barlow che, del resto, non ha molto da dire neppure nel romanzo del Re.
Unica nota negativa, a livello recitativo, un Donald Sutherland che si limita ad interpretare un Babbo Natale mefistofelico, più ridicolo che pauroso, assolutamente non in linea con il personaggio di Straker sia del romanzo che della precedente trasposizione di Hooper dove, invece, acquistava un certo spessore dato, soprattutto, dall’ambiguità che riesce a trasmettergli James Mason.
Altra nota di merito del film è da attribuirsi all’impostazione scelta che mette in risalto, proprio come il romanzo,l’ambiguità di Jerusalem’s Lot e dei suoi abitanti, con i segreti che conservano e si premuniscono di nascondere, e lasensazione di malvagità che permea le case, le strade e i volti dei cittadini. Peccato che tutto questo sia stato relegato alla voce off di Ben Mears che, a lungo andare, risulta un po’ troppo didascalica, per cui fastidiosa.
E veniamo ai difetti, oltre a quello, già segnalato, della regia di stampo prettamente televisivo. Il difetto principale di questo film è che non riesce a spaventare. E non è un difetto da poco, visto anche che Le notti di Salem è uno dei romanzi più spaventosi di Stephen King. Qui i vampiri non riescono mai a fare veramente paura né ad inquietare. L’unica scena riuscita, da questo punto di vista, è quella dello scuolabus nel quale bambini-vampiro spuntano ovunque. La scena è molto fedele a quella descritta da King e ne conserva tutta la forza, bisogna ammetterlo. Ma, a parte questo, non c’è molto altro. I vampiri rappresentati da Salomon sono uomini con gli occhi bianchi e dei canini che si allungano a comando. Niente più di questo. Nessuna inquietudine. Nessuno spavento.
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