Regia di Saul Dibb vedi scheda film
La distribuzione (internazionale?) si è indirizzata verso il parallelismo tra la vicenda di Georgiana con la sua discendente Lady Diana: la tirannide sentimentale a cui sono state costrette entrambi è pressoché la stessa nello spirito, praticamente diversa nella fattispecie. Dunque è interessante conoscere la storia di Georgiana indipendentemente dalle traversie dell’ex principessa inglese: non andate al cinema convinti di trovare la vicenda di Diana trasportata qualche secolo prima, o almeno le stesse tematiche. Per quel che concerne l’oggetto filmico, sia chiaro innanzitutto che con La duchessa si è di fronte ad un film al cento per cento inglese. Potrebbe essere un marchio impresso sulla pellicola, ma non c’è bisogno: sono talmente evidenti le tipicità che se ne accorgerebbe anche un neofita. E, ovviamente, ha i suoi bei pregi e i suoi bei difetti. Se da una parte non si può che ammirare estasiati una cornice formale e decorativa che riesce ad essere talvolta più intrigante dell’azione, dall’altra si può attestare la totale ordinarietà del film.
Si lascia guardare con fluida leggiadria, ma resta sulla superficie della pagina di un romanzo rosa, o meglio di un nobile fotoromanzo fuori tempo: incuriosisce, senza troppi sussulti, con qualche zampata di arguta bellezza e alcuni passaggi di banale consuetudine. Perfino il risvolto femminista ante litteram pare essere inserito senza troppe convinzioni (alla fine, forse per troppo dolore, Georgiana si piega alle convenzioni). Tra i guizzi da ricordare, sicuramente le doglie di Georgiana: mentre lei si duole, lui brinda con gli amici; stacco: lui gioca con un cagnone e si lamenta con la suocera di non aver generato un figlio maschio. Proprio questa ossessione del masculo per rinnovare la stirpe è la croce che si porta appresso la protagonista: infatti, non può seguire il proprio cuore (e dunque unirsi al futuro primo ministro Grey) fino all’adempimento del suo dovere di duchessa (procreare il maschio). Lei punzecchia l’odioso marito attraverso l’allestimento di una commedia allusiva; lui la violenta. Lei parla di politica; lui se la fa con la serva (e ci fa una figlia). Sarebbe dovuto essere il film della definitiva ascesa della splendida Keira Knightley, ma è l’ennesima occasione per Ralph Fiennes di misurarsi con un altro ruolo di arrogante quanto fragile perversione.
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