Regia di Alex Gibney vedi scheda film
Dall’infanzia di orfano cresciuto dalla mamma in ristrettezze economiche, fino al colpo di cannone con cui Johnny Depp ha sparato le sue ceneri nel cielo del Colorado: in mezzo 67 anni di vita, vissuta all’intensità di Hunter S. Thompson. Non sono pochi, ma Alex Gibney si prende il suo tempo, non pigia sull’acceleratore come Gonzo e Duke nel deserto del Nevada: edifica con perizia e abbondanza di materiali di repertorio il ritratto di una figura tanto iconica quanto imprendibile, creatore di un genere (il gonzo) che è la degenerazione del giornalismo, distruttore delle vestigia del sogno americano. Nonostante il titolo nostrano, a Gibney non interessa presentare il dottor Thompson nel suo lato “scandaloso”: lo testimoniano i racconti quieti e sorridenti della moglie Sondi Wright, gli aneddoti sull’illustratore Ralph Steadman che da Thompson fu iniziato alla mescalina, l’affetto di un vicino di casa perfino nel ricordarlo come «quello che non pagava l’affitto, ha distrutto il mio matrimonio e ha fatto fumare droga ai miei figli». Lo stesso uomo che corse per la carica di sceriffo ad Aspen, viaggiò con gli Hell’s Angels e teneva in casa 22 armi da fuoco «tutte cariche», che al cinema ha avuto il volto del sodale Depp ma prima, in Where the Buffalo Roam, quello di Bill Murray. Gibney apre per due ore una finestra sulla sua vita e sulle sue opere, ma anche sull’America che Thompson seppe stigmatizzare con lucidità, è il caso di dirlo, stupefacente.
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