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Il primo giorno d'inverno

Regia di Mirko Locatelli vedi scheda film

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La recensione su Il primo giorno d'inverno

di OGM
8 stelle

La normalità può essere fuori dal tempo. Come la casa di una famiglia a metà, in cui manca il padre ed è appena morta la nonna, e la routine quotidiana si trascina in mezzo ai mobili degli anni settanta e ad un mangiadischi di plastica arancione, che per la piccola Michela è un giocattolo, anche se, per il resto del mondo, è ormai un oggetto da museo.  Un’esistenza così anacronistica può mescolarsi tranquillamente alle altre, in una provincia del nord il cui aspetto, in fondo, non è mutato negli ultimi decenni, sotto l’uniformità di una nebbia che appiana le differenze stendendo su  ogni cosa  lo stesso grigiore. La regia di Mirko Locatelli è abilissima nel mantenere intatta, per l’intera durata del film, l’apparenza di una collocazione temporale distante da noi; solo una frase ci rivela che la storia appartiene ai giorni nostri, a questo terzo millennio che sembrava dovesse portare una svolta epocale, mentre poi si è rivelato come una piatta prosecuzione del secolo appena trascorso. Di quest’ultimo ha conservato la noia, la banalità, la solitudine, che si trascinano, come sempre,  attraverso giorni tutti uguali, e che trovano nell’adolescenza un terreno particolarmente fertile, in cui continuare a coltivare i loro tristi e freddi germogli. Le dinamiche di fondo non sono cambiate, e perpetuano i soliti riti, vizi, preconcetti in tutti i momenti della vita di un ragazzo: in casa, a scuola, mentre fa sport, o quando è in compagnia degli amici. I contenuti dei testi di geografia o le regole dei movimenti del nuoto corrispondono ad una tradizione antica, che non si rinnova col passare degli anni: in questo senso, la modernità è un’illusione, almeno nel modo in cui la intendiamo noi, ossia come una recente evoluzione dei costumi, della mentalità, del linguaggio, dei valori di riferimento. Togliendo internet ed i cellulari e facendo comparire, al loro posto, un litro di latte in una bottiglia di vetro ed un vecchio tavolo di formica, si toglie all’ambiente il lustro della contemporaneità, e lo si sostituisce con una patina stantia: ed ecco che, sotto una forma démodé, riconosciamo i tratti essenziali della nostra realtà di oggi, identici a quelli di trenta o quarant’anni fa.  Le pareti domestiche sono spesso una barriera impermeabile ai richiami del progresso della società; non la attraversano gli echi delle rivoluzioni, dei tumulti di un’umanità in perenne stato di agitazione, e così tutto si risolve entro gli angusti schemi della logica spicciola, troppo rigida e semplicistica per registrare gli sbalzi d’umore della storia. Per il giovane Valerio, anche l’evoluzione tecnologica è rimasta fuori dalla porta; una condizione surreale introdotta, in questo film, proprio per sottolineare simbolicamente la stagnazione del pensiero debole e limitato, su cui l’abitudine ha subito la meglio. C’è una parte di noi che, istintivamente, resiste al cambiamento, perché trova nelle cose note un rifugio confortevole ed un comodo serbatoio di certezze. Intramontabile è la tendenza a vivacchiare con ciò che si presenta a portata di mano: un motorino scassato, un ciondolo portafortuna, un’occasione per attaccare briga con una vecchina al cimitero, o per ricattare un compagno di classe. E la visuale ristretta ci impedisce di scorgere non solo la miopia delle nostre scelte e l’inadeguatezza dei nostri mezzi ma, anche e soprattutto, il pericolo mortale che talvolta in essi si nasconde. Il primo giorno di inverno cattura l’aria densa e terrea di un mondo privo di idee, di fantasia, di slancio; e la trasforma nella tetra ballata di un’umanità che, senza rendersene conto, sta lentamente soffocando nella totale assenza di poesia.

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