Regia di Paolo Benvenuti vedi scheda film
La visione può fare sentire persino allo spettatore aduso ad opere criptiche la mancanza di una sceneggiatura: i personaggi del lungometraggio si esprimono a sguardi e a gesti, una voce fuori campo legge le loro laconiche lettere, musica, immagini, rumori e paesaggio contestualizzano l’anacronistica tragedia di una domestica di Casa Puccini calunniata. Le parole servono infatti per nobilitare drammatizzandoli gli eventi, tuttavia se si intende ricostruire fatti realmente accaduti, senza tradirli con sovrapposizioni interpretative qualsivoglia allora è inevitabile richiamare dal passato ormai lontano ombre silenziose: ogni individuo si porta con sé nella tomba i segreti dell’anima, allo storico imparziale è consentita esclusivamente, tramite la decodificazione dei documenti, la cronaca nuda e cruda. Il suicidio di una serva permetta a Benvenuti di filtrarvi il clima spirituale di tutta un’epoca secondo una prospettiva significativa: all’inizio del secolo scorso la massa conquista visibilità politica e dopo Naturalismo e Verismo diventa soggetto a pieno titolo di opere d’arte di vario genere, il lago di Massaciuccoli con le lavandaie e i canti popolari dirimpetto alla villa nella quale l’autore di Manon stava componendo La fanciulla del West ne è testimonianza. Eppure tra l’Olimpo degli ideali e la quotidianità dei comportamenti continuerà ed esistere infrangibile la barriera dei pregiudizi di classe: il teatrino appena percepibile dal buco della serratura della restituzione filologica lascia intravedere nell’eloquente contracanto dei macchiaoli toscani e della sacra iconografia della chiese un universo iniquo di abissali disuguaglianza e di meschini egoismi. L’indagine porta dunque Paolo Benvenuti a completare l’esplorazione delle zone di confino iniziata con Gostanza da Libbiano (2000), dove i canti di dolore delle “genti meccaniche” di manzoniana memoria commuovono i saloon del finto West. Mio blog: http://spettatore.ilcannocchiale.it
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